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Difetto di legittimazione passiva del curatore fallimentare: “chi inquina paga”

Fin dove può spingersi la gestione “guidata” dei beni del fallito? Sussiste sempre la legittimazione passiva del curatore fallimentare per la bonifica di siti inquinati?
Essa difetta in ossequio all’applicazione del principio di derivazione comunitaria del “chi inquina paga”, che richiede sempre l’individuazione dell’effettivo responsabile dell’inquinamento.

DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE PASSIVA DEL CURATORE FALLIMENTARE

La massa fallimentare può cagionare un impatto ambientale tale da richiedere un intervento di bonifica.
Il problema è qualificare la posizione della curatela rispetto ad essa.
La questione involge la disamina della normativa contenuta nel D.Lgs. n. 152/2016.
Ma anche della legislazione comunitaria, che disciplina la messa in sicurezza ed il ripristino ambientale, secondo il principio “chi inquina paga”.
Nonché di quella fallimentare e dei correlati doveri posti a carico del curatore.
Sul punto è intervenuto il T.R.G.A. – Trento, con la sentenza n. 93 del 20 marzo 2017.
Nella fattispecie in esame l’elemento inquinante, rappresentato da amianto, preesisteva al fallimento della società.
La custodia del cespite immobiliare era stata affidata al legale rappresentante della società fallita.
Nei sui confronti andava rivolta, dunque, l’ordinanza sindacale contingibile e urgente.
Con conseguente difetto di legittimazione passiva del curatore fallimentare.
L’Amministrazione aveva individuato, invece, il curatore quale unico responsabile della bonifica del sito.

DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE PASSIVA: POTERI DEL CURATORE FALLIMENTARE E DOVERI DEL FALLITO

L’ordine di bonifica riguardava un’attività estranea e antecedente alla dichiarazione di fallimento.
La curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di un’ordinanza diretta alla bonifica di un sito inquinato.
Su di essa non possono riverberarsi gli effetti di precedenti comportamenti omissivi o commissivi dell’impresa fallita.
D’altronde, il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari non comporta il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati ad ipotesi di tutela sanitaria.
Egli non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore, a meno che non vi sia una prosecuzione nell’attività.
Diversamente, verrebbe sovvertito il principio “chi inquina paga”, di matrice comunitaria e recepito nella legislazione nazionale di settore.
I costi verrebbero scaricati sui creditori privi di collegamento con l’inquinamento cagionato.

I COSTI AMBIENTALI DELLA BONIFICA DI SITI INQUINATI: “CHI INQUINA PAGA”

Al curatore fallimentare competono gli adempimenti che la legge gli attribuisce.
Tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito, a titolo di suo successore o sostituto necessario.
Su di lui non incombe il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili richiedenti, per la presenza di fattori inquinanti, la bonifica.
Egli non può sostituirsi nell’adempimento degli obblighi del fallito inadempiuti volontariamente o per colpa.
Né di quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell’inizio della procedura concorsuale.
La legittimazione passiva del curatore violerebbe il principio di matrice comunitaria del “chi inquina paga” (cfr. Cons. Stato, n. 3274/2014).
I costi ambientali verrebbero scaricati sui creditori estranei alla condotta inquinante.
Tali costi vanno piuttosto imputati al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita.

Iacopo Correa

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