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La Corte Ue riconosce con una sentenza storica le nozze gay

La Corte di giustizia Ue riconosce con una sentenza storica le nozze gay

Con una storica sentenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Relativa alla causa C‑673/16, la sentenza stabilisce che la nozione di coniuge, nelle leggi Ue sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, comprende i coniugi dello stesso sesso.

Deliberando su un ricorso presentato da un cittadino rumeno e da un cittadino americano, ai sensi delle disposizioni del diritto dell’Unione sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, i giudici hanno stabilito che gli Stati membri hanno facoltà di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale.

Non possono, tuttavia, ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al coniuge dello stesso sesso, cittadino extracomunitario, un diritto di soggiorno sul loro territorio.

Corte Ue: matrimoni omosessuali e diritto di soggiorno

Relu Adrian Coman e Robert Clabourn Hamilton hanno convissuto negli Usa per quattro anni, prima di sposarsi a Bruxelles nel 2010. Nel 2012, i due hanno chiesto alle autorità rumene informazioni affinché Hamilton potesse ottenere, in qualità di familiare di Coman, il diritto di soggiornare legalmente in Romania per un periodo superiore a tre mesi.

Sebbene la domanda fosse fondata sulla direttiva 2004/38/CE sulla libertà di circolazione, che consente al coniuge di un cittadino dell’Unione di raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna, le autorità rumene hanno informato la coppia che Hamilton godeva soltanto di un diritto di soggiorno di tre mesi.

Corte Ue: Bucarest discriminante per l’orientamento sessuale

Visto che Bucarest non riconosce i matrimoni omosessuali, l’uomo non poteva essere qualificato in Romania come “coniuge” di un cittadino dell’Unione. Da qui, la scelta di Coman e Hamilton di fare ricorso ai giudici, avanzando la tesi di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e inerente l’esercizio del diritto di libera circolazione nell’Ue.

Proprio negli ultimi mesi, la normativa italiana in materia si è aggiornata: con sentenza 11696/2018, la Cassazione ha stabilito che matrimoni contratti all’estero da un cittadino italiano e uno straniero non possono essere trascritti e riconosciuti come matrimoni, ma come unioni civili ai sensi della legge 76/2016.

Corte Ue: la nozione di “coniuge” è neutra

A detta dei giudici della Corte europea, nell’ambito della direttiva sull’esercizio della libertà di circolazione, la nozione di “coniuge” è neutra dal punto di vista del genere e può includere, di conseguenza, il coniuge dello stesso sesso di un cittadino Ue.

«I diritti riconosciuti ai cittadini degli Stati membri […] includono il diritto di condurre una normale vita familiare sia nello Stato membro ospitante sia nello Stato membro del quale essi possiedono la cittadinanza, al ritorno in tale Stato membro, ivi beneficiando della presenza, al loro fianco, dei loro familiari – si legge tra le righe della sentenza».

Per i giudici, il rifiuto, da parte di uno Stato Ue, di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato, il matrimonio di quest’ultimo con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso, ostacola l’esercizio del diritto del cittadino di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

In particolare, l’obbligo per lo Stato Ue di riconoscere un matrimonio omosessuale contratto in un altro Stato membro non pregiudica l’istituto del matrimonio nel Paese in cui la coppia decide di vivere. Detto obbligo, tra l’altro, non impone a questo Stato di prevedere, nella sua normativa nazionale, l’istituto del matrimonio omosessuale.

Eloisa Zerilli

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