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La “stabilità occupazionale” della clausola sociale va promossa e non imposta

La c.d. “clausola sociale” nei bandi, avvisi e inviti di gara, tesa a promuovere la “stabilità occupazionale”, può essere sempre imposta ai concorrenti?
Essa va «armonizzata con i principi europei della libera concorrenza e della libertà d’impresa, sì da escludere un rigido obbligo di garanzia necessaria della stabilità, pur in presenza di variato ambito oggettivo».

LA “STABILITÀ OCCUPAZIONALE” DELLA CLAUSOLA SOCIALE SECONDO L’INTERPRETAZIONE DEL T.A.R.

Il T.A.R. Toscana, Sez. III, con la sent. n. 231/17 ha fornito un inquadramento giuridico della “clausola sociale”, alla luce della disciplina europea in sede di esecuzione del contratto di appalto.
L’ANAC ha evidenziato che la clausola deve solo comportare priorità nell’assorbimento del personale uscente, giammai un obbligo di integrale assorbimento (cfr. parere n. 40/2014).
L’art. 50 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 prevede, infatti, l’inserimento di “specifiche clausole sociali”, in favore della “stabilità occupazionale del personale impiegato”.
Esse stabiliscono l’applicazione da parte dell’aggiudicatario dei contratti collettivi di settore nel rispetto dei principi dell’U.E.
In particolare, si tratta di «affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale».
La clausola non può comportare in forma automatica e generalizzata l’obbligo di assunzione del personale uscente.
Difatti, la “stabilità occupazionale” dove essa essere armonizzata con la libertà di organizzazione dell’imprenditore.

LA “STABILITÀ OCCUPAZIONALE” ARMONIZZATA CON I PRINCIPI INTERNI E COMUNITARI

La società ricorrente ha censurato la “clausola sociale”, così come formulata negli atti di gara.
Ciò in quanto non tesa a “promuovere la stabilità occupazionale”, bensì ad imporre l’assunzione di tutto il personale presente.
La norma contiene la specifica previsione del “possibile” inserimento della suddetta clausola, ma “nel rispetto dei principi dell’Unione Europea”.
La clausola può comportare solo una priorità nell’assorbimento del personale uscente.
L’indicazione del numero, dell’inquadramento e dell’orario aveva violato i principi comunitari di concorrenza e libertà d’impresa.
Una previsione del Capitolato era stata ritenuta, di conseguenza, illegittima.
Si trattava dell’obbligo “al rispetto… dei livelli occupazionali”, con le “unità lavorative attualmente impiegate del servizio”.
La disciplina richiamata non poteva far ritenere legittima una clausola che imponesse un rigido obbligo di conservazione delle manodopera già impiegata nel pregresso servizio.
Anche in considerazione del fatto che la società ricorrente risultava essere gestore solo di parte dei servizi messi a gara.

LA “STABILITÀ OCCUPAZIONALE” ALLA LUCE DELLA RECENTE GIURISPRUDENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Alla luce di tali considerazioni, la “clausola sociale” legittima è quella conforme ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza (cfr. Cons. Stato n. 1255/2016).
Essa non comporta alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato (cfr. Cons. Stato, n. 1896/2013).
In caso contrario, essa scoraggerebbe la partecipazione alla gara e limiterebbe in maniera eccessiva la platea dei partecipanti.
Nel caso di specie, la clausola avrebbe dovuto essere formulata in termini di previsione della priorità del personale uscente nella riassunzione presso il nuovo gestore.
Ciò in conformità alle esigenze occupazionali risultanti per la gestione del servizio.

Iacopo Correa

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