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È legittimo registrare le conversazioni dei colleghi? Sì, se per tutelarsi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11322 del 2018, ha stabilito che è legittimo il comportamento di un lavoratore che per tutelare un suo diritto registra le conversazioni dei suoi colleghi di lavoro a loro insaputa. Quindi è possibile registrare i colleghi di lavoro solo se questo è necessario per difendere un proprio diritto. In caso la registrazione non sia fatta per tutela, l’azione è illegittima e può essere causa di licenziamento.

Registrare le conversazioni dei colleghi, la vicenda

Un dipendente aveva consegnato ai suoi superiori una chiavetta USB contenente delle conversazioni registrate durante l’orario di lavoro. Le registrazioni audio e video avevano come soggetti i dipendenti dell’azienda per cui l’uomo lavorava. I colleghi non erano a conoscenza di queste registrazioni e questo fatto può essere lesivo per la privacy. Il lavoratore aveva evitato in ogni modo che le registrazioni video e audio fossero diffuse. Le registrazioni erano state realizzate con il solo obiettivo di tutelare un diritto che il lavoratore vedeva leso e non erano mai state rese pubbliche. Il soggetto, in ogni caso, era stato licenziato.

La Corte d’appello dell’Aquila, chiamata a sentenziare, riteneva sproporzionato il “provvedimento espulsivo” e condannava l’azienda a corrispondere al lavoratore 15 mensilità come risarcimento.

Il dipendente propone ricorso per cassazione in quanto ritiene l’insussistenza del licenziamento.

La decisione della Suprema Corte

Nella sentenza la Corte di Cassazione si focalizza su alcuni aspetti tra i quali la tutela della privacy. Allo steso tempo pone l’accento sul fatto che le registrazioni sono delle prove ammissibili in ambito lavoristico. Infatti, “la registrazione fonografica di un colloquio tra presenti, rientrando nel genus delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 cod. civ., ha natura di prova ammissibile nel processo civile del lavoro così come in quello penale.” Il dipendente avrebbe attuato questo comportamento “per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda, messa a rischio da contestazioni disciplinari non proprio cristalline e per precostituirsi un mezzo di prova visto che diversamente avrebbe potuto trovarsi nella difficile situazione di non avere strumenti per tutelare la propria posizione ritenuta pregiudicata dalla condotta altrui.”

Per quanto riguarda l’aspetto relativo al licenziamento, la Corte sottolinea che “la condotta legittima del ricorrente non poteva in alcun modo ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, fondato, come di regola, sulle capacità del dipendente di adempiere in modo puntuale l’obbligazione lavorativa, dovendo escludersi che i fatti al medesimo addebitati nella lettera di contestazione potessero configurare inadempimenti contrattuali di sorta o peggio azioni delittuose.”

Il ricorso principale è, per questo motivo, accolto.

Maria Rita Corda

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