Inizia domani 21 novembre e durerà l’intera settimana lo sciopero unitario dei giudici di pace e dei magistrati onorari che bloccherà tutti gli uffici giudiziari. I giudici e i pubblici ministeri onorari sono in sciopero, ad intervalli mensili, da oltre un anno e contestano la riforma del ministro Andrea Orlando “che ha violato”, secondo una nota diramata dall’Unione Nazionale Giudici di Pace, “tutte le direttive e prescrizioni impartite all’Italia dalle più alte istituzioni europee”. “Mercoledì 22 novembre, in pieno sciopero, torneremo in Parlamento Europeo, in una seduta dedicata integralmente al precariato pubblico in Italia”, dichiara il segretario generale Alberto Rossi, “e al nostro fianco ci saranno gli avvocati Sergio Galleano e Vincenzo De Michele, convocati dal Parlamento Europeo in qualità di esperti. Saranno denunciate le gravissime violazioni dell’ordinamento comunitario poste in essere dalla riforma Orlando della magistratura onoraria, che ha accentuato ogni forma di precarizzazione della categoria, ponendo la previdenza sociale integralmente a carico dei magistrati, abbattendo i loro già miseri compensi, raddopppiandone funzioni e competenze nell’ambito di un rapporto di totale asservimento, peraltro capziosamente mascherato in un illusorio rapporto part-time, quando già oggi i magistrati onorari trattano oltre il 50% delle pratiche giudiziarie civili e penali”.”Una riforma indegna di un Paese civile”, tuona la presidente dei giudici di pace Mariaflora Di Giovanni, “che verrà duramente cassata dalla Corte di Giustizia Europea, dal Parlamento Europeo, dalla Commissione Europea, dal Comitato Europeo Diritti Sociali. D’altra parte nulla ci aspettavamo di diverso da un Ministro della giustizia come Andrea Orlando che, in una nota trasmissione televisiva, ha liquidato come capitalismo di Stato tutte le forme di sfruttamento illegale del lavoro nel pubblico impiego poste in essere da questo Governo autoritario ed incostituzionale”. I giudici di pace preannunciano che gli scioperi continueranno a cadenza mensile sin quando il Governo italiano non si adeguerà alle vincolanti direttive comunitarie sul lavoro.