Continua la guerra in Siria, così come in altri teatri del globo, e, nei bombardamenti, continua la distruzione di scuole ed ospedali: proprio su queste pagine (clicca qui per leggere gli articoli precedenti), avevamo parlato della struttura sanitaria pediatrica di Aleppo, devastato durante i raid aerei avvenuti nel quartiere orientale della città siriana a cavallo della seconda metà del novembre scorso, così come di quella di Abs, nella provincia nord-orientale di Hajja, a 130 km dalla capitale dello Yemen, Sanaa, o di Kunduz, in Afghanistan, o, ancora, nell’ambito del conflitto israelo-palestinese, di quella di al-Aqsa a Deir el-Balah.
Durissime, ogni volta, le condanne- almeno a parole- degli Stati coinvolti e, soprattutto, delle organizzazioni umanitarie coinvolte, a vario titolo, nei diversi scenari: proprio in occasione del bombardamento di Aleppo, la coordinatrice dell’emergenza per Medici Senza Frontiere, Teresa Sancristoval, denunciava a gran voce che “È una giornata nera per Aleppo est. Gli attacchi hanno distrutto interi ospedali, generatori elettrici, pronto soccorso e reparti, costringendoli a interrompere tutte le attività mediche. Non è solo Msf a condannare gli attacchi indiscriminati contro i civili o le infrastrutture civili come gli ospedali, li condanna il diritto umanitario. Il messaggio è semplice e non so come dirlo più forte: smettete di bombardare gli ospedali“.
Mentre in precedenza abbiamo affrontato la questione giuridica sulla liceità o meno degli attacchi compiuti contro ospedali, scuole e, più in generale, beni civili, ci occuperemo adesso di esaminare la recente risoluzione delle Nazioni Unite, emanata nella seduta del Consiglio di Sicurezza del 3 Maggio scorso (n. 2286 del 2016) proprio a seguito del crescente numero di episodi simili che si sono verificati nel corso degli ultimi anni (“Deeply concerned that despite these obligations, acts of violence, attacks and threats against medical personnel and humanitarian personnel exclusively engaged in medical duties, their means of transport and equipment, as well as hospitals and other medical facilities, are being perpetrated”).
Essa, richiamandosi- tra l’altro- proprio alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 ed ai loro Protocolli Aggiuntivi del 1977 e del 2005, ha ribadito la protezione totale di cui godono le postazioni sanitarie ed il personale impiegato per la cura e l’assistenza dei feriti (“… as well as relevant customary international law concerned with the protection of the wounded and sick, medical personnel and humanitarian personnel exclusively engaged in medical duties, their means of transport and equipment, as well as hospitals and other medical facilities, and the obligation of parties to armed conflict to respect and ensure respect for international humanitarian law in all circumstances…”) e l’inquadramento tra i crimini di Guerra delle relative condotte poste in essere in violazione delle suddette Convenzioni (“…Recalling that, under international law, attacks intentionally directed against hospitals and places where the sick and wounded are collected, provided that they are not military objectives, as well as attacks intentionally directed against buildings, material, medical units and transport and personnel using the distinctive emblems of the Geneva Conventions in conformity with international law are war crimes”).
Non può sfuggire, però, che in questa risoluzione si faccia sempre riferimento ad uno dei requisiti che garantiscono- o che dovrebbero servire a garantire- la suddetta “immunità”: ossia l’essere le strutture suddette ed il relativo personale impiegate esclusivamente per le predette attività (cura ed assistenza dei feriti e dei malati: “…exclusively engaged in medical duties” o, ancora “Recalling that under international humanitarian law, persons engaged in medical activities shall not be compelled to perform acts or to carry out work contrary to the rules of medical ethics or to other medical rules designed for the benefit of the wounded and the sick”), così come l’esposizione dei segni distintivi ad hoc previsti dalle citate Convenzioni (…“recalling also the obligations, in situations of armed conflict, pertaining to the use and the protection of the distinctive emblems under the Geneva Conventions of 1949 and where applicable, their Additional Protocols”).
Contenuti, quelli riportati nella risoluzione in esame, che, se da una parte dovrebbero essere ormai scontati, anche per la diffusione sempre più crescente che, negli ultimi anni, ha contraddistinto proprio il diritto internazionale umanitario, in tutti gli ambiti (militari e non), dall’altra sono spesso ignorati a causa del cambiamento delle regole del gioco.
Infatti, sempre più spesso, le guerre sono combattute tra coalizioni di Stati, da una parte, e gruppi non statali (c.d. Non- state Actors), dall’altra: i primi che cercano di rispettare le regole, i secondi che non hanno, tendenzialmente, alcun interesse (o possibilità, secondo alcuni) a farlo, venendosi così a creare quella condizione asimmetrica che mette a dura prova la tenuta, già di per sé delicata e difficile da mantenere, del sistema “diritto internazionale umanitario”.
Al netto di tutte queste considerazioni, è comunque allarmante il dato emerso dall’ultimo rapporto annuale (dicembre 2015) dello stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite sui bambini nei conflitti armati che ha documentato oltre 1.500 episodi di attacchi o di utilizzo per scopi militari di scuole e ospedali nel solo 2014. In particolare, è emerso che:
- 163 scuole e 38 strutture sanitarie sono state colpite in Afghanistan
- 28 ospedali e 50 scuole sono state bombardate e altre 9 scuole adibite a scopi militari in Siria
- 92 scuole sono state occupate da militari e combattenti nello Yemen
- 7 attacchi e 60 occupazioni militari di scuole si sono verificate nel Sud Sudan
- sono stati documentati 543 episodi di attacco a scuole in Palestina e a 3 edifici scolastici in Israele.
- nel Nord-Est della Nigeria 338 scuole sono state distrutte o danneggiate tra il 2012 e il 2014.
Ci sarebbe da sperare che non rimanga inevaso quanto auspicato dalla stessa risoluzione richiamata, allorquando essa richiama gli Stati a perseguire e punire gli autori delle violazioni delle norme di diritto internazionale umanitario (e dello stesso diritto nazionale di appartenenza): “Urging States to ensure that violations of international humanitarian law related to the protection of the wounded and sick, medical personnel and humanitarian personnel exclusively engaged in medical duties, their means of transport and equipment, as well as hospitals and other medical facilities in armed conflicts do not remain unpunished, affirming the need for States to ensure that those responsible do not operate with impunity, and that they are brought to justice, as provided for by national laws and obligations under international law”.
Ciò però presupporrebbe, di volta in volta, l’istituzione (costosa e, a volte, politicamente sconveniente) di commissioni di inchiesta ad hoc, volte ad accertare lo svolgimento dei fatti incriminati e le relative responsabilità, anche e soprattutto alla luce di quanto fin qui detto: perché, come dimostrato anche dai dati sopra riportati, se è vero che alcune volte i bombardamenti in questione possono risultare frutto dell’errore, altre volte, invece, potrebbero essere effettuati intenzionalmente, per colpire bersagli che, apparentemente civili o, come nella fattispecie, ad uso sanitario, vengono però usati come nascondiglio o scudo da terroristi e/o combattenti avversari: a danno, purtroppo, in entrambi i casi, anche e soprattutto di persone innocenti.
Marco Valerio Verni