I contratti di assicurazione assolvono alla fondamentale funzione di garantire le persone da eventi spiacevoli che possono capitare nella vita di ciascuno. Tuttavia, la complessità delle fattispecie che si verificano in concreto – unita alla diversa tipologia di polizze che possono essere stipulate – fa in modo che spesso insorgano controversia tra le compagnie e gli assicurati.
Le questioni affrontate
La III Sezione civile della Cassazione affronta con l’ordinanza 1465/2018 alcune tematiche molto delicate relative al contratto di cui agli artt. 1882 ss. c.c. In particolare, si fa riferimento alla nozione di “sinistro” e alla validità della clausola claims made o “a richiesta fatta”. Si tratta di questioni rilevanti, esaminate anche dalle Sezioni Unite. Alla risoluzione di tali problematiche si collega anche il dibattito relativo all’ampiezza degli spazi lasciati all’autonomia delle parti dall’art. 1322 c.c. nel determinare il contenuto del contratto.
La corretta nozione di sinistro
Per quanto riguarda il primo quesito, la Suprema Corte sottolinea come i contraenti non possano definire “sinistro” un evento che non sia pregiudizievole per l’assicurato e al cui verificarsi costui non abbia nulla in contrario. Le ragioni alla base di tale conclusione si fondano sia sull’interpretazione letterale dell’art. 1882 c.c., sia sull’interpretazione sistematica delle norme – interne e comunitarie – che disciplinano la fattispecie.
Se si consentisse alle parti di qualificare come sinistro la mera richiesta risarcitoria del terzo, si produrrebbero una serie di conseguenze che i giudici definiscono «assurde». Fra queste, la più grave riguarda la circostanza che non si potrebbe parlare più di un contratto di assicurazione, ma di scommessa.
Conseguentemente, il contratto stipulato da un assicuratore che dia alla parola “sinistro” un’accezione diversa da quella ricavabile dall’art. 1882 c.c. (evento dannoso per l’assicurato e non voluto) non sarebbe un contratto di assicurazione. La sua meritevolezza dovrebbe essere valutata caso per caso ex art. 1322 c.c. Certamente, però, non potrebbe essere stipulato da un’impresa assicurativa, a pena di nullità ai sensi dell’art. 11, c. 2., cod. ass.
La validità della clausola claims: un quesito parzialmente riaperto
Relativamente alla seconda questione, si tratta di valutare la liceità della clausola claims made, secondo la quale: «l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di efficacia dell’assicurazione e notificate alla società durante il medesimo periodo».
Sul punto si sono già pronunciate le Sezioni Unite (sent. 9140/2016). Esse hanno statuito che la validità di simile disposizione contrattuale deve essere valutata caso per caso, alla luce del disposto dell’art. 1322 c.c. Tuttavia, nel caso di specie, la Cassazione riapre la questione in quanto ritiene di dover valutare la meritevolezza della clausola sotto un diverso profilo.
In particolare, ad avviso della Suprema Corte, la claims made non sarebbe meritevole di tutela «nella parte in cui esclude il diritto dell’assicurato all’indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto». La ragione di ciò risiede in alcune circostanze. Anzitutto, essa attribuisce all’assicuratore uno sproporzionato vantaggio, senza contropartita. Poi, pone l’assicurato in una posizione di soggezione rispetto alla controparte. Inoltre, suddetta clausola può costringere l’assicurato a tenere condotte contrastanti col dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
Conseguentemente, la Cassazione investe nuovamente le Sezioni Unite circa la liceità della clausola claims. Sebbene sotto un diverso angolo visuale, tale ordinanza può riaprire un dibattito che sembrava – solo apparentemente – sopito.
Alessandro Re