19 dicembre 2016. La settimana del Natale, piena atmosfera di festa e di gioia ai mercatini natalizi che come ogni anno illuminavano la capitale tedesca di Berlino. Tutto perfetto e tutto normale finché un autoarticolato di colore nero, con targa polacca, proveniente dallo stabilimento torinese della ThyssenKrupp e diretto a Berlino, ha deliberatamente investito la folla che si trovava nel quartiere di Berlino di Breitscheidplatz per i celebri mercatini natalizi. Questa la vicenda che passerà alla storia come “l’attentato di Berlino“.
Subito, la polizia tedesca si è attivata alla caccia ai responsabili della strage che ha provocato 12 morti (tra cui un italiano) e 56 feriti e che è stata considerata dalla cancelliera Angela Merkel un attentato di matrice terroristica, non dissimile da quello accaduto poco tempo prima a Nizza con modalità analoghe. Non è peraltro tardata ad arrivare la rivendicazione dell’attentato da parte dell’Isis che, attraverso l’agenzia di stampa dello Stato islamico al-Amaq, ha definito l’attentatore come “un soldato dello stato islamico”, individuando la ragione della strage in “una vendetta per gli attacchi in Siria”.
Attentato di Berlino, chi è “il soldato dello stato islamico”?
Le indagini condotte a seguito della strage hanno consentito di identificare il responsabile dell’attentato di Berlino. Gli uomini presenti sul camion al momento dell’impatto erano due. Il passeggero, trovato morto nell’abitacolo del mezzo, era Lukasz Urban, cittadino polacco di 37 anni, il quale si ritiene essere rimasto estraneo all’attentato. Infatti, egli non è morto a seguito dell’impatto ma è stato trovato accoltellato e colpito da uno sparo alla testa. Gli inquirenti ritengono che egli fosse ancora vivo al momento dell’ingresso del camion nella piazza di Berlino e che sia stato ucciso dal conducente, a seguito della sua reazione e del suo tentativo di fermare l’attacco che, deviando il volante ha consentito di evitare la completa strage.
Il responsabile dell’attentato di Berlino, alla guida del camion, secondo la polizia tedesca, è Anis Amri, tunisino 24enne, con precedenti penali e già arrestato in Italia, che arrivò in Germania dal 2015 dove fu da subito messo sotto sorveglianza per spaccio di droga e per sospetti terroristici. L’uomo, subito dopo la strage, riuscì a scendere dal mezzo, dandosi alla fuga, dimenticando però alcuni documenti sotto al sedile del camion, il cui rinvenimento da parte degli inquirenti ha giustificato il mandato di cattura internazionale.
Attentato di Berlino, il ruolo dei poliziotti italiani
Sono due i poliziotti italiani definiti come eroi nella vicenda dell’attentato di Berlino. Luca Scatà, agente in prova in attesa dell’assegnazione definitiva, e Christian Movio.
La notte del 23 dicembre alle 3 del mattino essi si trovavano a bordo della volante nei pressi della stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni, a Milano, nello svolgimento di una ordinaria attività di controllo, assolutamente senza alcuna connessione alla strage tedesca, quando sottoponevano a controllo uno straniero fermato nei pressi della stazione a cui chiedevano l’esibizione dei documenti. L’uomo, alla richiesta, estraeva da uno zaino una pistola calibro 22 ed attingeva l’agente Movio, il quale, per l’accaduto, riportava una ferita alla spalla. L’altro poliziotto, Luca Scatà, rispondeva al fuoco, colpendo il magrebino al petto e causandone la morte, ignorando completamente di uccidere l’autore dell’attentato di Berlino. Nonostante l’assenza di documenti, le impronte digitali e la pistola hanno consentito di ricondurre l’uomo all’attentato di Berlino.
I due agenti di polizia sono stati portati in ospedale e sono entrambi sani e salvi. In questi giorni la stampa li definisce “eroi” o gli attribuisce simili appellativi, nonostante il poliziotto Movio sia stato molto incisivo nel dichiarare: “E’ il mio lavoro, non sono un eroe”.
La diffusione virale delle informazioni sulla rete: quali possibili conseguenze per i poliziotti italiani?
La vicenda del 23 dicembre che ha visti coinvolti i due giovani agenti italiani non ha avuto rilevanza solo per aver segnato la parola fine alla tragica pagina di storia dell’attentato di Berlino. Sin dal giorno dopo la rete, la stampa, le televisioni ed i comunicati ufficiali provenienti dal Governo e dai vertici delle Forze dell’Ordine menzionavano nei dettagli l’accaduto e le generalità dei due poliziotti, elogiati e definiti come eroi.
Questa ampia diffusione e viralizzazione di tali informazioni non è rimasta priva di ripercussioni.
Se da un lato, molti articoli e post sui social decantano l’agente di polizia in prova che ha ucciso l’attentatore come un eroe, dall’altro lato, c’è chi ha preferito andarci cauto con gli elogi e addirittura chi ha evidenziato possibili profili di responsabilità penale in capo al poliziotto o ne ha contestato la condotta.
Così, ad esempio, la capogruppo ed ex candidato sindaco del Movimento 5 Stelle a Biella, Antonella Buscaglia, ha scritto sul suo profilo Facebook: “Non giustifico il terrorista ma è sempre un uomo… mi irrita chi gode dell’OMICIDIO di un altro uomo… una vita è una vita…’ il ferimento del poliziotto è come se fosse un incidente sul lavoro… leggo Post di persone che esaltano i due poliziotti che hanno fatto SOLTANTO il loro dovere…” Questo commento ha suscitato un’ampia polemica “social” che ha visto coinvolti numerosi esponenti politici di vari partiti che si sono confrontati sull’accaduto esprimendo punti di vista discordanti. C’è chi ha evidenziato il fatto che il poliziotto ignorava al momento dei fatti l’identità del tunisino e dunque la sua riconducibilità all’attentato di Berlino e che, sparare per ucciderlo abbia concretato un eccesso nella scriminante della legittima difesa o dell’adempimento di un dovere. Chi, d’altra parte, ha ritenuto meritevole il gesto idoneo a segnare la parola fine a questo tragico capitolo di storia.
A prescindere dalle opinioni politiche e dalle valutazioni circa la meritevolezza o riprovevolezza della condotta dei due agenti italiani, ciò che è stato da più parti paventato è la sconvenienza di quanto accaduto dal giorno successivo alla vicenda: la viralità e l’ampia diffusione sulla rete e sulla stampa delle informazioni relative alle modalità dell’uccisione del killer di Berlino e al ruolo e all’identità dei due poliziotti italiani avrebbe forse dovuto essere evitata o quantomeno contenuta.
Una voce abbastanza unanime ad oggi raccomanda, anche se forse è ormai troppo tardi, per la viralità degli articoli diffusi online e per la provenienza ufficiale delle informazioni diffuse anche dallo stesso Ministro degli Interni Minniti, di andarci piano con gli elogi per i due poliziotti italiani.
Così, il Questore di Milano Antonio De Iesu, in sede di conferenza stampa, pur esprimendo più volte il plauso per il comportamento dei due agenti in servizio, ha evitato di citare i loro nomi. Questo perché la diffusione sulla rete e sulla stampa dei nomi e delle foto dei due agenti (ormai avvenuta con altissimo grado di diffusione) potrebbe determinare il rischio di ripercussioni sugli stessi da parte di terroristi ed islamici in vista di un possibile “vendetta” del soldato islamico ucciso. Lo stesso Questore di Milano, ha dichiarato: “Abbiamo il dovere di tutelare l’immagine dei nostri agenti, abbiamo detto ai ragazzi di evitare, di non farsi prendere dall’emotività nel loro interesse, è opportuno che non lo facciano, stiamo parlando di una dimensione che non è la criminalità ma il terrorismo internazionale e c’è un problema di prevenzione”.
Una precauzione che ha portato il Questore a disporre anche l’oscuramento dei profili Facebook dei due agenti e ad incaricare gli agenti della Digos di garantire protezione alle famiglie dei due poliziotti, anche a fronte di possibili ritorsioni e minacce (forse, c’è chi lo ritiene, già pervenute ai due giovani).
Altro motivo che potrebbe aver determinato la chiusura dei due profili Facebook è stato probabilmente anche il comportamento social tenuto dal poliziotto siciliano a seguito della vicenda. Forte degli elogi e delle pagine di giornali che lo appellavano come “eroe”, il giovane agente ha inserito sul suo profilo Facebook post in cui fa il saluto romano, la foto di Mussolini corredata dalla didascalia “Il tradito sarà pure un ingenuo, ma il traditore resta sempre un infame”. Espressioni di posizioni di estrema destra che forse avrebbero dovuto essere evitate, in quanto appartenente alle forze dell’ordine e soprattutto a seguito della notorietà involontariamente acquisita.
Di parziale diverso avviso è il capo della Polizia Franco Gabrielli. Questi non ha ritenuto opportuno diffondere le informazioni sui due agenti in quanto teme che la minaccia ritorsiva non riguardi i singoli ma tutto il genere di appartenenza, ha imposto massima attenzione per tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine e di polizia, ed ha dichiarato: “Fare i nomi dei due agenti con questo tipo di terrorism non è stato né un errore né un’esposizione, perché non siamo in presenza di un terrorismo come quello che abbiamo conosciuto negli anni ’70, ossia un terrorismo endogeno che ha interesse a colpire il singolo. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso e la preoccupazione non è per le individualità, ma per l’appartenenza: sono a rischio tutti coloro che rappresentano le forze di polizia e hanno una divisa”. Per questo ieri mattina Gabrielli ha firmato la circolare in cui chiede “massima attenzione perché non è possibile escludere azioni ritorsive nei confronti delle forze di polizia”.
Martina Scarabotta