Attestavano revisioni mai fatte, corruzione e falso per i dipendenti della motorizzazione
Sono imputabili per il reato ascritto dall’art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio), i rei che in concorso tra loro, ricevevano, nella qualità di dipendenti del Ministero dei Trasporti in servizio presso l’Ufficio provinciale della Motorizzazione Civile, somme di denaro per compiere atti contrari ai propri doveri.
Il fatto
E’ quanto ha stabilito il Tribunale di Genova, con sentenza n. 93 depositata il 23 gennaio 2017. Secondo la ricostruzione dei fatti, uno degli impiegati aveva ricevuto circa 500 euro per far apporre sulla carta di circolazione consegnatagli da un automobilista, un falsa attestazione di avvenuta e regolare revisione della propria vettura. La sua collega, invece, aveva versato circa 50 euro all’addetta alle stampe dell’esito delle revisioni, per farle immettere nel sistema informativo i dati relativi al mezzo e farle stampare il tagliando attestante il positivo superamento delle prove prescritte (cui il veicolo, in realtà, non era mai stato sottoposto). Insomma, vi erano diversi elementi che provavano il disegno criminoso degli impiegati e le indagini svolte non facevano che confermare la tesi accusatoria.
L’affare fuorilegge è costato ai due colleghi un’imputazione per falso in atto pubblico (art. 479 c.p.), per aver formato una falsa attestazione di revisione regolare, e una per atti contrari ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.).
Nella sentenza, peraltro, i giudici si soffermano a chiarire, in maniera anche analitica, come in tema di delitti contro la P.A., l’attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità (art. 323 bis c.p.) ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta. Ma a tal fine, precisano i magistrati, va considerata ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato. Ebbene, nel caso di specie, tale sconto di pena, poteva applicarsi solo all’addetta alla stampa delle etichette, visto l’esiguo guadagno di soli 50 euro, mentre non poteva essere attribuito ai due complici, considerata la maggiore gravità dei loro ruoli ed il maggior ricavo derivante dalle rispettive condotte.
Mariano Fergola