Blu Whale Challenge: il gioco dell’orrore, nato in Russia e rapidamente diffusosi in tutto il mondo, fino ad arrivare anche in Italia, è stato oggetto di attenzione da parte della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 57503 del 22 dicembre 2017, ha espresso il suo orientamento sulla gravità e sulla rilevanza penalistica del fenomeno.
Blu Whale, il gioco dell’orrore: di cosa si tratta?
Blu Whale è un “gioco” diffusosi in tutto il mondo e arrivato recentemente, negli ultimi mesi, anche in Italia, che rappresenta la degenerazione dell’utilizzo di internet e dei social network per realizzare attività illecite e manipolare le menti di bambini ed adolescenti. Il gioco, noto come Blu Whale (o Balena Blu), prevede due partecipanti: il “protagonista”, che è il minore o l’adolescente che vine adescato in chat o social e che verrà progressivamente manipolato e portato al suicidio, e il “curatore” che è colui che impartisce al giovane gli ordini che costituiscono le sfide che dovranno essere superate, consistenti in prove di coraggio dolorose e sadomaso, quali infliggersi ferite, tagli, farsi del male o sottoporsi a vari tipi di allucinazioni ed umiliazioni. tali prove si protrarranno per 50 giorni al termine dei quali, dopo aver compromesso quotidianamente la psicologia del ragazzo, verrà impartito l’ultimo ordine: suicidarsi. Così come le balene, che si recano in una spiaggia per lasciarsi morire, così anche il protagonista, al termine delle prove di coraggio, dovrà raggiungere la quiete nera nella sua spiaggia finale, la morte. Un gioco sadico ed illegale che compromette la salute psico-fisica dei giovani, spesso minorenni e spesso già in crisi esistenziali, portandoli alla morte.
Il gioco ha destato forti preoccupazioni da parte di tutti i genitori, associazioni ed autorità e ora anche la Corte di Cassazione penale ha sancito la rilevanza penale della condotta degli autori e partecipanti al gioco.
Blu Whale: istigazione al suicidio o adescamento di minori?
La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con la recente sentenza di dicembre 2017, si è espressa sulla corretta qualificazione in termini giuridici e penalistici del fenomeno: Blu Whale è istigazione al suicidio o adescamento di minori?
La vicenda trae origine dall’indagine penale condotta dalla Procura e dal Tribunale di Roma a carico di un uomo indiano 37enne che sarebbe stato qualificato come “curatore” del gioco Blu Whale avente come “protagonista”/vittima una ragazzina minorenne destinataria di messaggi inviati tramite chat online che prevedevano le sfide del gioco dell’orrore, tra cui, da ultimo, l’ordine di mandare audio in cui la ragazzina avrebbe dovuto dire di essere sua schiava e di volergli consegnare la sua vita.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso avverso l’ordinanza di sequestro probatorio, lo rigettava, con una pronuncia di significativa importanza che inquadra e qualifica correttamente l’imputazione. L’uomo era indagato per i reati di istigazione al suicidio ex art. 580 c.p. e adescamento di minori ex art. 609-undecis c.p.
La Corte di Cassazione esclude, nel caso de quo, il reato di istigazione al suicidio ex art. 580 c.p., in quanto tale delitto sarebbe configurabile solo laddove “l’istigazione venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima”. Il legislatore, infatti, nella norma in questione, ha escluso la rilevanza penale dell’istigazione al suicidio in quanto tale, ogni qualvolta la stessa non venga accolta o comunque non dia luogo a lesioni almeno gravi.
Nel caso concreto, la ragazzina aveva accettato le prime sfide del gioco, infliggendosi tagli che avevano determinato solo piccole lesioni e compiuto atti umilianti non arrivando però ad infliggersi lesioni gravi né tanto meno tentando il suicidio. in base all’art. 580 c.p. mancherebbe dunque l’elemento oggettivo indefettibile per la configurabilità del grave reato di istigazione al suicidio a carico del “curatore”.
Al contrario, la Cassazione penale ha invece ritenuto ravvisabile il reato di adescamento di minore ex art. 609-undecies c.p. Tale fattispecie sarebbe ravvisabile in caso di “atti volti a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altri mezzi di comunicazione” e prevede come pena la reclusione fino a 3 anni.
In definitiva dunque, pur auspicandosi un preciso intervento del legislatore mirato a reprimere il fenomeno di neo nascita in questione, i curatori del gioco saranno per ora soggetti alle norme del codice penale, con la configurabilità di reati diversi a seconda del grado di accoglimento delle sfide e a seconda che il minore tenti o meno il suicidio.
Martina Scarabotta