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Dj Fabo, chiesta l’imputazione coatta per Marco Cappato: ora rischia fino a dodici anni

«È ufficiale: sarò processato per l’aiuto a Fabo. Così ha deciso oggi il giudice. Rispetto la decisione. Il processo sarà anche l’occasione per processare una legge ingiusta». Così, attraverso i social network, Marco Cappato dà la notizia che il gip di Milano Luigi Gargiulo ha bocciato la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Milano per aiuto al suicidio. Il giudice ha dunque imposto alla Procura di formulare un’imputazione nei confronti del militante radicale che, sfidando la giustizia italiana, a febbraio aveva accompagnato in Svizzera dj Fabo per consentirgli di sottoporsi al suicidio assistito. Appena rientrato in Italia era stato lo stesso Cappato ad autodenunciarsi. Secondo i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini l’accusa di aiuto al suicidio non reggeva. Nelle quindici pagine della richiesta di archiviazione l’organo dell’accusa aveva argomentato proprio a partire dalle parole di Dj Fabo: non si può impedire a un paziente in condizioni di «non vita» di scegliere il proprio destino. «Pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita –si leggeva ancora nella richiesta – quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso. Non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale ha inteso affiancare al principio del diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita inteso come sinonimo dell’umana dignità».

(Amer)

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