Il Consiglio di Stato condanna la Regione Lombardia per aver negato le misure necessarie per attuare il diritto di Eluana Englaro al rifiuto delle cure.
La sentenza ha così respinto il ricorso della stessa Regione condannandola al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Il Consiglio di Stato ha inoltre ordinato che la la sentenza “sia eseguita dall’autorità amministrativa”.
Si dice soddisfatto l’avvocato Vittorio Angiolini, il quale ha dichiarato «”Di fatto – commenta – è stato confermato l’ammontare della sentenza di I grado. E la Regione dovrà pagare anche le spese del giudizio di appello. Questo vuol dire che, se non fosse stato presentato il ricorso, si sarebbero risparmiati soldi dei cittadini ».
Caso Englaro: i fatti
La famiglia Englaro, nel 2009, fu costretta a trasferire la figlia dalla casa di cura dove era ricoverata a Lecco alla “Quiete” di Udine, nonostante dopo una interminabile vicenda giudiziaria avesse ottenuto il consenso da parte del Tar di acconsentire alle volontà della figlia di non essere alimentata artificialmente. Beppino Englaro avrebbe più volte dichiarato le volontà della figlia, la quale da viva avrebbe sempre manifestato la volontà che, in caso d’incidente o di malattia, non fosse mantenuta in vita con le macchine. Ciò non ha portato a nessun cambiamento di rotta in materia di cure da parte della Casa di cura dove era stata ricoverata, istituto religioso di Lecco. La Regione Lombardia si era opposta alla volontà della famiglia Englaro.
Luana morì a Udine il 9 febbraio 2009 dopo 17 anni di stato vegetativo.
Oggi, anche il governatore lombardo Roberto Maroni si esprime a favore del padre di Luana. In seguito alla sentenza, la Regione Lombardia è così tenuta al risarcimento di una somma pari a 132.965,78 euro, oltre accessori, di cui 12.965,78 a titolo di danno patrimoniale (oltre agli interessi legali dal momento dell’esborso e fino alla data di pubblicazione della sentenza) e di 120.000 a titolo di danno non patrimoniale con l’aggiunta d’interessi e rivalutazione.
La Regione si sarebbe rifiutata “deliberatamente e scientemente di dare seguito al decreto della Corte d’Appello di Milano – adottato il 9 luglio 2008 – di cui non può contestarsi l’efficacia di cosa giudicata contenente l’ordine di eseguire la prestazione richiesta, ponendo in essere un comportamento di natura certamente dolosa”.
Caso Englaro: la sentenza del Consiglio di Stato
L’amministrazione sanitaria avrebbe dovuto nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità e correttezza, indicare la struttura sanitaria dotata dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, tali da renderla ‘confacente’ agli interventi e alle prestazioni strumentali all’esercizio della libertà costituzionale di rifiutare le cure” senza costringere il trasferimento in una struttura privata a Udine.
La pronuncia della Cassazione ha chiarito che “Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.
Inoltre ha dichiarato “chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente”.
I giudici hanno rilevato che il diritto di rifiutare le cure “è un diritto di libertà assoluto, efficace erga omnes. Pertanto, si tratta di una posizione giuridica che può essere fatta valere nei confronti di chiunque intrattenga il rapporto di cura con la persona, sia nell’ambito di strutture sanitarie pubbliche che di soggetti privati”.
Si conclude, così, una delle vicende giudiziarie che hanno maggiormente scosso la magistratura e l’opinione pubblica nazionale.
Sabrina Arnesano