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Cassa forense: confermata l’opzione per il contributivo

La Cassazione conferma il principio secondo il quale la Cassa non restituisce i contributi legittimamente versati, coerente con la regola generale e con la facoltà di scegliere, a condizioni di maggior favore, per il sistema contributivo di calcolo della pensione.

Cassa forense, opzione per il contributivo: il caso

Un avvocato in pensione ha presentato ricorso contro la Cassa forense sostenendo di aver diritto al ricalcolo della pensione col sistema retributivo. L’avvocato lamentava la legittimità dell’art. 4 del Regolamento generale della Cassa Forense per effetto del quale la pensione in esame era stata liquidata col sistema contributivo. La Corte d’appello di Genova ha respinto l’impugnazione dell’avvocato avverso la sentenza di primo grado, con la quale gli era stata rigettata la domanda, dopo aver ribadito la legittimità dell’operazione eseguita dalla Cassa Forense e l’insussistenza della lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative come quelle delineate dal ricorrente. L’avvocato ha presentato ricorso per la cassazione della sentenza.

Cassa forense, opzione per il contributivo: le ragioni della Corte d’appello

Il ricorrente lamentava la violazione del principio di proporzionalità tra contributi versati ed ammontare della pensione liquidata. La Corte di merito ha puntualizzato che non è normativamente imposta una proporzionalità tra contribuzione versata e importo mensile percepito, anche in considerazione del fatto che la percezione prosegue nel tempo per la vita del pensionato e che è anche rispettato il principio del pro-rata, sia per il fatto che l’introduzione del trattamento in esame è successiva al mutamento del sistema pensionistico da retributivo a contributivo, sia per il fatto che il contribuente può comunque optare per il sistema retributivo o misto, continuando a versare i contributi sino a maturare il diritto alla pensione ordinaria.

Cassa forense, opzione per il contributivo: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, con sentenza della sezione lavoro n. 19981/2017, ha rigettato il ricorso dell’avvocato. I giudici della Suprema Corte richiamano precedenti pronunce (Cass. sez. lav. n. 24202 del 16.11.2009 e n. 12209 del 2011), che hanno enunciato al riguardo il principio secondo cui, in materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati, nell’esercizio della propria autonomia, che li abilita a derogare od abrogare disposizioni di legge in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, possono adottare misure prevedenti, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la facoltà di optare per il sistema contributivo a condizioni di maggior favore per gli iscritti, stabilendo, al contempo, la non restituibilità dei contributi legittimamente versati. Senza che ne consegua la lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. Al riguardo è stato, infatti, osservato che è coerente con la facoltà di optare per il sistema contributivo (in quanto comportante un palese ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi versati legittimamente alla Cassa) la contestuale previsione (art. 4, comma 1, del regolamento della Cassa) della non restituibilità dei contributi medesimi. Pertanto, al pari della opzione per il contributivo, la previsione della non restituibilità dei contributi risulta rispettosa dei limiti dell’autonomia degli enti previdenziali privatizzati e, come tale, idonea ad abrogare tacitamente la contraria previsione (di cui alla L. n. 570 del 1980, art. 21) del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici. Non vi è lesione dei diritti poiché la previsione della non restituibilità dei contributi legittimamente versati risulta coerente, da un lato, con la regola generale e, dall’altro, con la previsione contestuale della facoltà di optare, a condizioni di maggior favore, per il sistema contributivo di calcolo della pensione. Di conseguenza la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato l’avvocato al pagamento delle spese processuali.

Livia Carnevale

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