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Cedu, Italia condannata: troppo lenta nel tutelare le donne oggetto di violenza domestica

Italia troppo lenta nell’intervenire a protezione delle donne e dei minori oggetto di violenza domestica. Questa, in buona sostanza, la ragione alla base della condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti del nostro Paese (Causa Talpis c. Italia). I giudici di Strasburgo hanno stabilito che «non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio».

I fatti a cui si riferisce la pornuncia della della Corte sono avvenuti a Remanzacco, in provincia di Udine e riguardano E.T., una cittadina rumena, costretta a subire violenze e minacce di ogni sorta dal marito alcolizzato. La donna aveva aveva chiesto più volte l’intervento delle autorità, che tutavia sottovalutarono la gravità della situazione, lasciandola in balia della furia del marito che, rientrato a casa, la ferì con una coltellata al petto e uccise il figlio intervenuto per difenderla.

Invocando l’articolo 2 (diritto alla vita), l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) e l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la signora Talpis contestava allo Stato italiano di non essere stato in grado di fornirle una protezione effettiva contro la violenza domestica, determinando in questo modo la morte di suo figlio e il suo tentato omicidio. E questo, a giudizio della Corte, sarebbe avvenuto tanto per l’inerzia delle istituzioni che sarebbero dovute intervenire, tanto per una strutturale inadeguatezza della normativa italiana. La mancanza di una effettiva tutela – argomentano inoltre i giudici strasburghesi – comporta una sostanziale violazione dell’articolo 14 della Convenzione (divieto di discriminazione), poiché il fallimento dello Stato nella protezione delle donne contro la violenza domestica viola «il loro diritto ad una eguale tutela da parte della legge».

I giudici hanno riconosciuto alla ricorrente 30mila euro per danni morali e 10 mila per le spese legali.

(Amer)

 

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