La Corte europea dei diritti dell’uomo torna a definire i contorni del diritto alla libertà d’espressione, tutelato dall’art. 10 della CEDU, nella causa Kapsis e Danikas c. Grecia.
A ricorrere alla Corte europea erano stati il direttore e l’editore di un quotidiano oltre a un giornalista, tutti di nazionalità greca, che erano stati condannati in maniera definitiva a pagare una cospicua somma di denaro (30.000 euro) per i danni morali sofferti da un’attrice per essere stata definita “totalmente sconosciuta” in un articolo. La donna, che aveva recentemente assunto una carica politica, aveva fatto ricorso lamentando di essere stata vittima di insulti a danno della sua personalità, trovando conforto, sia in primo che in secondo grado, nelle decisioni dei tribunali greci che avevano ritenuto che il termine utilizzato nel descriverla oltrepassasse i limiti della critica legittima.
La Corte dei diritti dell’uomo, al contrario, ritenne che la condanna subita dai ricorrenti rappresentasse una grave ingerenza nell’esercizio del loro diritto alla libertà di espressione in quanto la sanzione non era proporzionata allo scopo legittimo perseguito (ovvero la protezione della reputazione o dei diritti altrui) e inoltre, non rispondendo a un bisogno sociale imperativo, non era nemmeno necessaria in una società democratica.
Secondo la Corte europea, definire una persona come “totalmente sconosciuta” nel contesto di una rubrica satirica che si occupa dei retroscena della vita politica non aveva certamente lo scopo di trasmettere delle informazioni veritiere sulla carriera dell’attrice, ma unicamente sottolineare in maniera più colorita che la donna era stata sinora estranea al mondo politico. Inoltre, a parere della Corte, ciò sarebbe stato confermato anche dai successivi commenti piuttosto favorevoli del giornalista riguardo la sua nomina.
Libertà d’espressione, le indicazioni della Corte europea
Prima regola, dunque, da tenere a mente per i tribunali nazionali: mai valutare una frase apparentemente offensiva al di fuori del contesto in cui è stata proferita o scritta.
Seconda regola: valutate le caratteristiche del contesto, occorre verificare se l’interesse del pubblico e i propositi dell’autore della frase contestata giustificavano il ricorso a un tono provocatorio.
Terza regola: non è compito dei giudici nazionali indicare ad una persona in che modo avrebbe dovuto esprimersi quando stava esercitando il suo diritto di critica.
Quarta regola: chi svolge una funzione pubblica, come l’attrice del caso di specie, non può considerarsi immune dalle critiche della stampa e soprattutto i politici, in una società democratica, devono essere consapevoli che la loro vita privata può diventare oggetto di un dibattito d’interesse generale.
Ultima raccomandazione della Corte europea ai giudici nazionali: occorre sempre procedere ad un’analisi della situazione finanziaria delle parti prima di comminare una sanzione pecuniaria e soprattutto quando è in gioco la libertà d’espressione dei giornalisti. Le sanzioni, infatti, anche se legittime, se non sono proporzionate, possono finire per dissuadere la stampa e i giornalisti dal compiere il proprio importante mestiere.
In conclusione, la Corte europea ha ritenuto illegittimo il provvedimento comminato ai ricorrenti nel caso di specie, rilevando una violazione dell’art. 10 della CEDU.
Grazie a questa pronuncia la Corte europea dei diritti dell’uomo continua a delineare sempre più chiaramente la portata e i limiti del diritto alla libertà di espressione, offrendo, altresì, importanti indicazioni ai giudici nazionali su come procedere nel difficile bilanciamento degli interessi in gioco.
Mia Magli