L’avvocato che non assolve l’obbligo di formazione previsto dal codice deontologico, rischia la censura.
La Corte di Cassazione si è espressa in tal senso, con sentenza a Sezioni Unite n. 24739 del 5 dicembre 2016, in merito al ricorso di un avvocato presentato contro il Consiglio nazionale forense e contro il Consiglio dell’ordine territoriale.
Censura per l’avvocato: il caso
La Corte ha respinto il ricorso di un avvocato, al quale era stata irrogata la sanzione della censura dal Consiglio dell’ordine territoriale, perché lo stesso avvocato non aveva raggiunto il numero di crediti formativi previsti dal regolamento del Consiglio nazionale forense. Il ricorrente ha chiesto di sospendere la sanzione in quanto non gli permette di svolgere l’attività di difensore d’ufficio che è la sua unica fonte di reddito.
Proprio a causa delle difficoltà economiche il ricorrente sosteneva di non aver potuto impugnare la decisione del Consiglio dell’ordine tempestivamente e, quindi, di essere rimesso nei termini per causa di forza maggiore. Per il Consiglio nazionale forense il ricorso tardivo non poteva essere giustificato dalle difficoltà economiche, inidonee a determinare un impedimento assoluto.
Censura per l’avvocato: cos’è
Il Codice deontologico forense individua le sanzioni applicabili agli avvocati che commettono un illecito disciplinare. Le sanzioni sono: avvertimento, censura, sospensione e radiazione. In particolare la censura è una dichiarazione ufficiale di biasimo irrogata con decisione del Consiglio dell’ordine territoriale. Consiste in una severa ammonizione che lasci traccia certa agli atti del Consiglio quale precedente ai fini di un’eventuale recidiva.
Censura per l’avvocato: la decisione della Cassazione
La Cassazione chiarisce, innanzitutto, che il ricorso avrebbe dovuto essere proposto solo contro il Consiglio dell’ordine territoriale e non contro il Consiglio nazionale forense che non è parte in giudizio ma ha assunto la veste di giudice.
In merito ai motivi del ricorso contro l’Ordine territoriale presentati dall’avvocato, questi vengono rigettati. Secondo le Sezioni Unite le condizioni reddituali precarie non giustificano l’impugnazione tardiva e, inoltre, il ricorrente non ha nemmeno precisato le ragioni per cui le difficoltà economiche gli avrebbero impedito una tempestiva impugnazione.
Viene, così, confermata la sanzione della censura.
Livia Carnevale