Se nel contratto si sottoscrive una clausola definita vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c. anche se poco leggibile resta valida; sul punto si è espressa la Suprema Corte di Cassazione
Il momento della stipula di un contratto spaventa un po’ ogni contraente, specialmente per l’eventuale presenza di clausole scritte in modo da potersi celare alla vista del sottoscrittore.
Questo è proprio il caso delle clausole vessatorie, clausole poco convenienti per il c.d. “contrente debole” che può solo sottoscriverle (o meno) accettandole così come proposte senza alcuna possibilità di modificarle.
Le clausole vessatorie, sono disciplinate dal secondo comma dell’art. 1341 c.c., il quale recita che «In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria».
Ma se sono state sottoscritte nonostante la poca leggibilità? Sul punto è stata chiamata ad esprimersi la Suprema Corte di cassazione.
Clausola vessatoria poco leggibile: il caso
Il Tribunale di Livorno veniva a dito per una questione relativa alla stipula di un contratto di utenza telefonica, con passaggio da altro operatore, rimasta non attivata per oltre otto mesi; pertanto, si chiedeva che la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all’interruzione della linea ed alla conseguente perdita di numerose opportunità lavorative.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, eccependo in rito l’incompetenza per territorio del Tribunale adito per essere competente quello di Milano, chiedendo nel merito, inoltre, il rigetto della domanda ed avanzando domanda riconvenzionale per il pagamento di fatture insolute.
Il Tribunale di prime cure accoglieva il ricorso, rigettando l’eccezione di incompetenza e la domanda riconvenzionale della società convenuta.
La società telefonica, convinta delle proprie ragioni, promuoveva ricorso dinnanzi alla Corte d’appello territorialmente competente, ottenendo la riforma della sentenza emessa dal giudice di prime cure e dichiarando l’incompetenza territoriale del giudice adito.
Il giudice d’appello, infatti, riteneva che, nonostante la scarsa leggibilità della documentazione, non voleva significare che fosse illeggibile anche l’originale del contratto a suo tempo sottoscritto; tale circostanza era, anzi, da escludere, perché non poteva ritenersi che la società appellata avesse apposto una doppia firma su di un contratto senza leggerne le clausole.
La società appellata, senza perdersi d’animo, proponeva ricorso in Cassazione.
Clausola vessatoria poco leggibile: la decisone della Cassazione
La terza sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3307 del 04 dicembre 2017, pubblicata il 12 febbraio 2018, ha confermato la sentenza emessa dal giudice d’appello ritenendo che, qualora una clausola vessatoria (che come tale è da approvare espressamente per iscritto ai sensi del secondo comma dell’art. 1341 c.c.) risulti scarsamente o per nulla leggibile, sia perché il modello è in fotocopia sia perché i caratteri grafici sono eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modello contrattuale pienamente leggibile.
I giudici di piazza Cavour, infatti, a sostegno della propria decisione, ritengono che «l’eventuale illeggibilità di una o più clausole vessatorie non esonera il contraente debole dall’onere di vigilare affinché non vengano apposte firme “ad occhi chiusi”; l’art. 1341, primo comma, c.c., prevede, come si è visto, l’efficacia delle clausole che il contraente avrebbe dovuto conoscere con ordinaria diligenza, percui la società oggi ricorrente non può addurre, a sostegno della propria tesi, il fatto che la clausola in questione non fosse chiaramente comprensibile e decifrabile».
A maggior ragione, la Suprema Corte, come già rilevato dal giudice d’appello adito, rileva la mancata contestazione in tutte le fasi processuali della diversità del contratto originale rispetto al fac-simile prodotto, tale da far presumere la conoscenza della clausola oggetto della controversia.
Maria Teresa La Sala