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Il Clown ha contatti con i bambini, violenza sessuale o gioco innocente?

In un mondo dove televisione e i social ci bombardano quotidianamente di riferimenti sessuali più o meno velati, sappiamo ancora distinguere un contatto innocente da uno più malizioso o pericoloso?
Al di là dei gravi episodi di violenze sessuali, a volte accade che un atteggiamento o un atto assolutamente spontaneo o involontario vengano qualificati come “lascivi” o “pruriginosi” solo perché percepiti come tali dal soggetto che li riceve.
Quando tali vicende approdano nelle aule giudiziarie, i Giudici si trovano a dover disquisire riguardo alla possibilità che un gomito o un ginocchio possano essere considerati zone erogene, e quando un contatto possa celare in realtà istinti sessuali.
Spesso i Tribunali sono lo specchio della società in cui viviamo, e proprio in tema di molestie sessuali si è assistito negli ultimi anni ad un ampliamento del limite del non consentito fino a ricomprendere gesti quotidiani e apparentemente privi di connotazione erotica.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n°51582 depositata il 13.11.2017, si preoccupa di chiarire cosa può ragionevolmente intendersi come “atto sessuale”, e quindi meritevole di condanna, e cosa invece deve considerarsi come semplice atto innocente.

La vicenda riguarda un clown animatore di feste per bambini, condannato a due anni reclusione dalla Corte d’Appello de L’Aquila per il reato di violenza sessuale perché ritenuto colpevole di aver compiuto in danno di un minore di età inferiore a dieci anni atti di violenza sessuale consistenti nel contatto con zone intime dello stesso.
La difesa proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendo ingiusta la condanna posto che gli atti in questione dovevano considerarsi aventi natura e finalità ludica, senza alcun coinvolgimento della sfera sessuale.
La Suprema Corte approfitta della vicenda sottoposta al suo giudizio per affrontare il tema di quella zona ombrosa degli atti che non si spingono fino alla vera e propria congiunzione carnale, ma che possono comunque avere una connotazione sessuale.
In effetti, secondo un orientamento molto diffuso, per “atto sessuale” deve intendersi qualsiasi atto che oggettivamente appaia diretto a soddisfare il piacere sessuale o a suscitare eccitazione a prescindere dalle intenzioni del soggetto che lo compie e, pertanto, qualsiasi contatto non richiesto con una zona biologicamente qualificata come erogena costituisce un atto di violenza sessuale punibile ai sensi dell’art. 609-bis c.p.
Ad avviso della Cassazione, però, seguendo questo orientamento si arriva al paradosso di estendere in maniera spropositata le ipotesi di violenza sessuale fino a ricomprendere anche, ad esempio, un calcio o uno schiaffo indirizzato verso una zona “sessualmente connotata”.
La Corte d’Appello, in effetti, condannava l’imputato perché durante un gioco veniva oggettivamente in contatto con parti del corpo del bambino che possono essere considerate come erogene, senza alcuna considerazione rispetto al contesto o alla finalità ludica del gesto.

I Giudici di Cassazione, invece, ritengono che in casi simili andrebbe adottato un approccio “soggettivo” per valutare un’eventuale responsabilità penale dell’autore del gesto.

Prima di pronunciare una sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 609-bis c.p., bisognerebbe porre l’attenzione sul contesto e soprattutto sull’intenzione del soggetto di soddisfare un interesse di natura erotica, escludendo dunque la violenza sessuale ogni volta che il comportamento non appaia diretto a violare la libertà sessuale della vittima, anche qualora la parte del corpo interessata possa considerarsi erogena.
Pertanto, la Suprema Corte ha annullato la sentenza della Corte d’Appello e rinviato il processo ad un’altra sezione della medesima Corte, ritenendo opportuno che i Giudici emettano una nuova sentenza che tenga in debita considerazione, oltre il dato oggettivo del contatto, anche il contesto e l’intenzione dell’imputato.

Alessia Alongi

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