I colleghi mi vessano, è mobbing?
Ammettiamolo, sebbene il lavori nobiliti l’uomo – a meno che non si abbia la fortuna di fare quello dei propri sogni – difficilmente si incontra qualcuno felice di “andare a lavorare”. Quando poi l’ambiente lavorativo si palesa ostile e vessatorio il lavoro diventa un vero e proprio supplizio che procura disagio e malessere.
I colleghi mi vessano, è mobbing? La vicenda.
E proprio a causa di tali sofferenze, un lavoratore conveniva in giudizio il proprio datore di lavoro affinché venisse accertata la condotta di mobbing di cui asseriva essere stato vittima, dall’assunzione sino al licenziamento, intimatogli per superamento del periodo di comporto determinato dall’insorta sindrome depressiva.
Costituitosi in giudizio, la controparte deduceva l’ infondatezza del ricorso.
Ebbene, il Tribunale dichiarava la responsabilità del datore di lavoro per il danno alla persona subito dal ricorrente e per l’effetto lo condannava al risarcimento. Rigettava per il resto il ricorso.
La decisione veniva confermata dalla Corte d’appello che rilevava la sussistenza della condotta di mobbing a danno del lavoratore, nonché il nesso di causalità tra la stessa e la malattia da lui lamentata, accertata dalla c.t.u., che aveva concluso per l’esistenza di “una reazione stressogena importante con conseguente insorgenza di disturbi psichici”.
I colleghi mi vessano, quando si configura il mobbing?
Per la cassazione della sentenza veniva proposto ricorso.
Con la sentenza n. 74 del 04.01.2017 la Suprema Corte coglie l’occasione per ricordare il consolidato orientamento per il quale il mobbing “rientra fra le situazioni potenzialmente dannose e non normativamente tipizzate, che designa un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”.
Secondo i Giudici di legittimità, giustamente, la Corte di Appello aveva ritenuto che sussistessero tutti gli elementi che concorrono ad individuare la fattispecie in questione, ovvero: una serie di comportamenti persecutori e vessatori posti in essere contro la vittima in modo sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o anche da parte degli altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo del primo; l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; l’elemento soggettivo, ovvero il fine persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi, desumibile anche ab extrinseco dall’uso abnorme del potere direttivo e di conformazione della prestazione.
I colleghi mi vessano, è mobbing datoriale.
I Giudici di legittimità, dunque, confermano che ad integrare una condotta di mobbing datoriale possa essere anche il comportamento vessatorio di colleghi di lavoro, “ove questo sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo o delle condizioni ambientali che lo rendono possibile o le abbia addirittura determinate, considerato che anche l’aspetto umano fa parte dell’ ambiente di lavoro nell’ambito del quale opera il dovere di protezione previsto dall’art. 2087 c.c., e che l’ascrivibilità al datore di lavoro dell’organizzazione dell’impresa anche sotto il profilo del personale ne determina la fonte autonoma di responsabilità costituita dall’art. 2049 cod. civ.”
Iolanda Giannola