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Per contestare la convivenza devono mancare rapporti fra i coniugi

Per contestare la convivenza devono mancare rapporti fra i coniugi – Cass. civ. ord. 13120/2017

Con una recentissima ordinanza (24 maggio 2017, n. 13120) la Corte di Cassazione si è pronunciata su un ricorso avverso una sentenza d’appello la quale aveva rigettato la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio, motivando sulla scorta del fatto che le parti avevano convissuto per molti anni dopo la celebrazione.

Il procedimento di delibazione è finalizzato a far ottenere il riconoscimento dell’efficacia giuridica di una sentenza pronunciata da un tribunale ecclesiastico anche nella Repubblica Italiana. L’articolo 8, n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato (L. 121/1985), infatti, prevede espressamente che le sentenze ecclesiastiche di declaratoria di nullità di un matrimonio concordatario possano essere rese esecutive in Italia solo attraverso l’apposito e speciale procedimento di delibazione, che si svolge davanti la Corte d’Appello, nonostante la legge 218 del 1995, non applicabile in riferimento alle sentenze de quibus, disciplini il riconoscimento automatico delle sentenze straniere.

La Cassazione, richiamando un noto ed elaborato precedente in materia reso a Sezioni Unite (sent. n. 16379/2014), ha ribadito che la convivenza tra coniugi, nel caso di specie protrattasi per molti anni, non è necessariamente collegata ad un “buon” matrimonio, fondato su solidarietà ed affetti, ma ad un matrimonio comunque celebrato. La “convivenza”, in sostanza, non rimanda tanto al “matrimonio” inteso come rapporto tra i coniugi, e comprensivo dei molteplici aspetti e dimensioni dello svolgimento della vita matrimoniale (il “vivere insieme” stabilmente e con continuità nel corso del tempo), ma al “matrimonio” inteso come atto giuridico.
Con la precedente sentenza a SS.UU. n. 16379/2014 sopra citata, infatti, la Corte di Cassazione aveva già sancito, all’esito di un lungo e approfondito excursus normativo e della giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Costituzionale, che la convivenza tra i coniugi, connotata da riconoscibilità esteriore e da continuità protrattasi per almeno tre anni successivi alle nozze (quale requisito minimo presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto matrimoniale), costituisce una situazione giuridica disciplinata e tutelata da norme costituzionali, convenzionali e ordinarie di “ordine pubblico italiano” (cfr. art. 797, co. 1, n. 7, c.p.c.), tale da ostare alla dichiarazione di efficacia nel territorio della Repubblica Italiana delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio concordatario.
Questo, sancisce l’ordinanza in commento, salvo tuttavia il fatto che i coniugi, pur convivendo, si siano di fatto sempre trovati in una situazione di totale estraneità, senza alcun tipo di rapporto personale o sessuale. Nel caso di specie, tuttavia, tale grave situazione non solo non risultava provata, ma nessuno dei coniugi aveva nemmeno chiesto di provarla; inoltre gli stessi ebbero due figli insieme, chiaro indizio della presenza di un minimo di rapporti personali e sessuali tra i due, ancorché vi fossero contrasti ed incomprensioni, e, aggiunge la Corte, financo addirittura violenze.

La Corte non manca di osservare, nell’unico motivo di ricorso si richiama l’art. 360 n. 5 c.p.c. (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti), ma non viene indicato alcun fatto specifico e circostanziato che sarebbe stato omesso dall’esame del Giudice d’appello, con la conseguenza che il ricorso proposto sarebbe comunque viziato da profili di inammissibilità.

Davide Baraglia

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