Nei contratti bancari, quando sono dovuti gli interessi ultra legali? Sul punto si è espressa la Suprema Corte di Cassazione. Vediamo insieme
Spesso si sente parlare di interessi bancari, principalmente per il ruolo di preminenza che ha assunto il sistema bancario ai nostri giorni; basti pensare alla sua incidenza sulle politiche economiche mondiali.
In primo luogo, preme chiarire che cosa sono gli interessi ultra legali: sono quegli interessi che superano la soglia di legge prevista, e che vengono definiti come legali. Qualora gli interessi già scaduti (cioè maturati) e non pagati, diventino bene capitale e come tali siano suscettibili di produrre interesse a loro volta, si parla dell’istituto dell’anatocismo.
Ma cosa accade se gli interessi ultralegali non sono previsti esplicitamente nel contratto? Sul punto è stata chiamata ad esprimersi la Suprema Corte di Cassazione. Vediamo.
Debenza interessi ultralegali: il caso
Con ricorso in opposizione innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, avverso l’esecuzione immobiliare intrapresa nei confronti del ricorrente, con sentenza del 24 settembre 2013, accoglieva il ricorso nella parte in cui non si riteneva legittimo il diritto della banca a procedere in executivis, in quanto dalla c.t.u. era risultato che il ricorrente aveva corrisposto, mediante versamenti eseguiti sul conto corrente, tutte le somme necessarie all’estinzione dell’obbligazione.
Avverso tale decisione la banca ricorreva in appello, senza ottenere, però, il risultato sperato: infatti, la Corte d’Appello di Cagliari, con ordinanza pubblicata in data 11 marzo 2015, dichiarava inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. .
Convinta delle proprie ragioni, la banca proponeva ricorso dinnanzi alla Suprema Corte di Cassazione, indicando a sostegno diversi motivi, tra cui l’erronea rielaborazione da parte del c.t.u., degli interessi dovuti, con applicazione del tasso legale ai sensi dell’art. 1284 c.c., non avendo rinvenuto il contratto scritto dal quale ricavare quale fosse il tasso pattuito fra le parti.
Ancora, la ricorrente, deduceva l’erroneità dei rilievi contenuti nella consulenza a firma del c.t.u. relativi all’applicazione delle clausole di anatocismo e di commissione di massimo scoperto, osservando che, il divieto di cui all’art. 1283 c.c., fa riferimento solo agli interessi e non colpisce la commissione di massimo scoperto.
Quale sarà stata la decisione della Cassazione?
Debenza interessi ultralegali: la decisione della Cassazione
La sezione terza della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5609 pubblicata il 7 marzo 2017, ha dichiarato inammissibile il ricorso, poiché «affinché una convenzione relativa agli interessi ultra legali sia validamente stipulata, deve avere forma scritta e contenere l’indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato, ai sensi dell’art. 1284 terzo comma c.c., che è norma imperativa».
Le parti di un rapporto bancario, infatti, possono per legge pattuire interessi, corrispettivi, superiori a quelli legali; esistono, però, due importanti limitazioni a questa possibilità: la prima è dettata dall’art. 1815 c.c., che sancisce la nullità degli interessi superiori al tasso di usura, e l’altra dall’art. 1284 terzo comma c.c., che stabilisce la necessità che detti interessi ultra legali siano pattuiti in forma scritta e che in mancanza si applica l’interesse nella misura legale, trattandosi di una forma ad substantiam (ovvero prevista a pena di nullità).
Proseguono, poi, i giudici di Piazza Cavour, spiegando che «tale condizione – che, nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154, poteva ritenersi soddisfatta anche “per relationem”, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse oggi può dirsi soddisfatta solo quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante».
In merito alla questione relativa agli interessi anatocistici e della commissione di massimo scoperto, la Corte ha rigettato i motivi di ricorso, risultando manifestamente infondati.
Infatti, sulla scia della pronuncia della Corte Costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76 Cost., l’art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, la Suprema Corte ha ritenuto che le clausole in questione «sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c. , perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis)».
Cari lettori, i sistemi bancari sono davvero ostici e complicati; per non sbagliare, pertanto, basta un occhio in più verso ciò che viene sottoscritto, e il gioco è fatto.
Maria Teresa La Sala