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Corte di Giustizia: diritto alle prestazioni sociali per l’extracomunitario con permesso unico di lavoro

Un cittadino di un Paese non appartenente all’Unione europea che risiede regolarmente in uno Stato membro poiché dotato di un permesso di soggiorno per motivi lavorativi ha diritto alle prestazioni sociali alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato membro ospitante?

La Corte di Giustizia, in una recente sentenza (causa C-449/16), ha risposto in maniera affermativa a tale quesito, affermando che, in tale circostanze e in via di principio, il diritto alla parità di trattamento tra cittadini UE e cittadini extra-UE in materia di prestazioni sociali costituisce la regola.

Il caso

La vicenda parte dal ricorso al Tribunale di Genova della Sig.ra Silva, cittadina ecuadoriana, risiedente regolarmente in Italia, poiché titolare di un permesso unico di lavoro (di durata superiore ai sei mesi), assieme ai tre figli minorenni.

La donna si era infatti vista rifiutare dall’Inps l’attribuzione dell’assegno che lo Stato italiano riconosce ai nuclei familiari, con tre o più figli minori di età a carico, che abbiano un reddito inferiore a un certo limite (c.d ANF).

Pur rientrando nei suddetti requisiti, la Sig.ra Silva non aveva ricevuto l’assegno poiché quest’ultimo, secondo la legge italiana, viene attribuito ai cittadini dei Paesi extra-UE unicamente se questi utlimi sono dei rifugiati politici, dei beneficiari della protezione sussidiaria o dei titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo. La legge italiana, pertanto, non riconosce tale diritto ai cittadini extracomunitari titolari di un permesso unico di lavoro.

In primo grado il Tribunale di Genova aveva respinto il ricorso della Sig.ra Silva, ma la Corte d’Appello di Genova, adita in secondo grado, ha invece deciso di rinviare la questione alla Corte di Giustizia, temendo che la decisione resa in primo grado potesse contrastare con il diritto UE.

La decisione della Corte di Giustizia

Extracomunitario con permesso unico di lavoro ha diritto alle prestazioni sociali nello Stato membro ospitante
Extracomunitario con permesso unico di lavoro ha diritto alle prestazioni sociali nello Stato membro ospitante

La Corte di Giustizia ha, innanzitutto, chiarito che il tipo di assegno richiesto dalla Sig.ra Silva costituisce una prestazione di “sicurezza” sociale riconducibile alla categoria delle prestazioni familiari, ai sensi del regolamento UE n. 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

Al contrario il Tribunale di Genova aveva respinto il ricorso della Sig.ra Silva anche poiché non riteneva invocabile il principio di parità di trattamento rispetto al tipo di assegno richiesto dalla ricorrente, avendolo qualificato come prestazione di “assistenza” sociale e non di “sicurezza” sociale.

La Corte di Giustizia, invece, come di consueto non si focalizza sul nomen iuris attribuito ad un istituto giuridico da una normativa nazionale e giunge a definire l’assegno richiesto dalla Sig.ra Silva come una prestazione di “sicurezza” sociale sulla base di un’analisi sostanziale dei suoi presupposti e delle sue finalità.

Sia i presupposti che le finalità dell’ANF, infatti, vengono definiti dalla normativa italiana in forza di requisiti predeterminati e oggettivi e non sulla base di valutazioni individuali e discrezionali delle esigenze personali del ricorrente che, al contrario, farebbero collocare tale tipo di assegno nell’ambito delle prestazioni di “assistenza” sociale.

Di conseguenza, l’ANF rientra nell’ambito di applicazione del diritto UE essendo diretto ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli e quindi perfettamente riconducibile alla categoria delle “prestazioni alimentari”, ai sensi del regolamento n. 883/2004.

Chiarito ciò, la Corte di Giustizia ha approfondito successivamente l’aspetto del principio di parità di trattamento, osservando che, ai sensi dell’art.12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 2011/98/UE sul permesso unico di soggiorno e di lavoro dei lavoratori non UE, se un cittadino extracomunitario viene ammesso in uno Stato membro a fini lavorativi, nel rispetto del diritto dell’UE o del diritto nazionale, deve poter poi beneficiare dello stesso trattamento dei cittadini dello Stato membro ospitante per quanto riguarda l’accesso alle prestazioni concernenti i settori della sicurezza sociale, così come definiti nel regolamento n. 883/2004.

Nonostante sia vero che la direttiva 2011/98/UE elenca delle deroghe al principio della parità di trattamento che gli Stati membri sono liberi di introdurre o meno, la Corte di Giustizia non ha ritenuto che le disposizioni della legge italiana in causa siano state introdotte per dare attuazione alle deroghe ammesse dalla direttiva 2011/98/UE.

La normativa che disciplina la concessione dell’ANF, infatti, è antecedente al recepimento della direttiva 2011/98/UE e, in ogni caso, le deroghe ammesse dalla direttiva possono essere invocate solo qualora gli Stati membri abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse. L’Italia non ha mai espresso tale intenzione nell’ambito del recepimento della direttiva 2011/98/UE.

Per tali ragioni, la Corte di Giustizia ha dichiarato illegittima la normativa italiana in tema di concessione dell’assegno a favore di nuclei familiari con almeno tre figli minori, laddove non prevede che ne possano essere beneficiari anche i cittadini di Paesi terzi, titolari di un permesso unico di lavoro e soggiorno.

Conclusioni

Con questa pronuncia la Corte di Giustizia rafforza, pertanto, i diritti sociali delle famiglie numerose con figli minori a carico, composte da lavoratori extracomunitari che lavorano regolarmente in uno Stato membro grazie a un permesso unico di lavoro e che si trovano in una condizione di disagio economico.

I principi enunciati in tale sentenza saranno indubbiamente oggetto di ulteriori dibattiti in relazione a tematiche simili come, ad esempio, il diritto all’assegno di maternità concesso dai comuni di residenza a favore delle madri il cui reddito familiare non superi il tetto previsto dall’ISE.

Quest’ultimo diritto, infatti, è attualmente garantito dallo Stato italiano solo se le madri extracomunitarie sono in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo.

Recentemente la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 95/2017, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità delle norme italiane che subordinano il diritto alla fruizione dell’assegno di maternità da parte degli stranieri alla titolarità del permesso di soggiorno di lungo periodo. Le questioni di costituzionalità dell’art. 74 d.lgs. 151/2001 sollevate dal Tribunale di Reggio Calabria e dal Tribunale di Bergamo sono state ritenute inammissibili per l’omessa considerazione, da parte del giudice ordinario, della disciplina dettata in ambito nazionale e comunitario.

A tal ultimo riguardo, è altamente probabile che questa nuova sentenza della Corte di Giustizia rafforzerà un filone giurisprudenziale che già da tempo, in Italia, considera discriminatorio il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo per accedere all’assegno di maternità (tra le altre si veda, ad esempio, l’Ordinanza del Tribunale di Milano del 6 novembre 2015).

Mia Magli

 

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