La responsabilità per i danni causati dagli animali liberi e privi di proprietario, spetta “esclusivamente all’ente, o agli enti, cui è attribuito dalla legge il compito di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi”. La materia è regolamentata in Italia dalla legge quadro nazionale n. 281/199 e il principio, che ne è alla base, è confermato da numerosi precedenti giurisprudenziali in materia (Cass. n. 12495/2017, n. 17528/2011 e n. 10190/2010). Tale dovere, tuttavia, è chiarito ed integrato dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro n. 281/1991. Poiché la legge quadro statale non indica direttamente a quale ente spetta il compito di cattura e custodia dei cani randagi ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, spetta appunto alle singole regioni il compito di attribuire, con propria legge, ad uno o più enti pubblici il compito della cattura e custodia degli animali randagi. Tale attribuzione degli obblighi di cattura e custodia ad uno o più enti pubblici, costituisce il fondamento della responsabilità per i danni arrecati alla popolazione anche relativamente ai profili civilistici conseguenti all’inosservanza di detti obblighi.
La sentenza n. 15167 del 20 giugno 2017
Il principio è stato nuovamente confermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15167 del 20 giugno 2017, relativa al caso di un cittadino laziale che aveva fatto ricorso alla AUSL locale ed al Comune per essere stato, il suo veicolo, danneggiato da un cane randagio in libertà, chiedendo ed ottenendo il risarcimento dei danni. La AUSL, da canto suo, con ricorso in cassazione aveva contestato la sentenza di condanna sostenendo che, alla luce della legge regionale del Lazio (quella di riferimento nel caso di specie), la responsabilità del danno cagionato dal cane randagio fosse da addebitare esclusivamente al Comune in quanto il compito della AUSL si sarebbe limitato all’erogazione di servizi sanitari veterinari dietro segnalazione del comune, di altri enti o di privati cittadini.
Con la sentenza n. 15167/2017 la Cassazione ha ritenuto l’assunto difensivo della A.S.L. privo di qualsivoglia riscontro normativo. La legge regionale n. 34 del 21 ottobre 1997 e succ. mod. stabilisce che “il compito di cattura dei randagi e di custodia degli stessi nelle apposite strutture è attribuito (anche) ai comuni”. Prosegue specificando che “Sono i comuni, singoli od associati, a dovere, tra l’altro assicurare (…) il ricovero, la custodia ed il mantenimento dei cani nelle strutture, sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari delle aziende USL (…), in collegamento con le altre competenze riservate agli enti territoriali, tra cui quella di costruzione di nuovi canili e risanamento di quelli esistenti”. Inoltre la norma prevede espressamente che, “…oltre ai detti compiti, spetti ai servizi veterinari delle aziende USL, tra l’altro (…) il servizio di accalappiamento di cani vaganti, la relativa comunicazione al comune interessato e la consegna dei cani catturati o restituiti alle strutture di ricovero, previa effettuazione delle profilassi previste”.
La responsabilità solidale
Alla luce della legge regionale citata, poiché non è in discussione che i servizi veterinari delle Aziende USL debbano collaborare alla tenuta dei canili pubblici gestiti dai comuni, anche per le aziende USL è riscontrabile il fondamento della responsabilità di cui si è detto sopra, rinvenibile negli obblighi di cattura e, quindi, custodia dei cani privi di proprietario, la cui violazione è rilevante anche quanto ai profili civilistici.
Pertanto, ai sensi dei richiamati articoli 2, e 3, della legge della Regione Lazio n. 34/97, sussiste la responsabilità solidale del Comune e dell’Azienda Unità Sanitaria Locale per i danni causati a terzi da cani randagi, dei quali l’uno e l’altra non abbiano assicurato la cattura e la custodia. Rosy Abruzzo