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Denunciò 12 volte il marito che poi la uccise: condannati i pm

 

La Corte d’appello di Messina ha condannato i pubblici ministeri che non fermarono il marito assassino di Marianna Manduca, dopo che per ben 12 volte la donna si era rivolta alla magistratura per chiedere aiuto contro le violenze subite.

«Mi ha minacciato con un coltello, non so più che devo fare: aiutatemi». Con queste parole il 4 ottobre 2007 Marianna Manduca implorava i magistrati della Procura di Caltagirone di intervenire. Il caso, però, fu trattato alla stregua di una comune lite in famiglia e, qualche ora dopo, la donna veniva uccisa con sei coltellate al petto e all’addome.

Adesso, in applicazione della legge della responsabilità civile dei magistrati, sarà la Presidenza del Consiglio dei Ministri a dovere risarcire i 260 mila euro quantificati dalla sentenza del Tribunale civile di Messina in favore dei tre figli della donna. La Corte ha ritenuto che ci fu dolo e colpa grave nell’inerzia dei pm che, dopo le reiterate segnalazioni delle  violenze subite dal marito tossicodipendente della donna, non trovarono il modo di intervenire. I magistrati sono stati citati in giudizio dal cugino della vittima e padre adottivo dei figli (oggi adolescenti) della donna.

I giudici di Messina hanno riconosciuto il danno patrimoniale derivato dal fatto che i tre figli non hanno più goduto dello stipendio della madre. «Siamo parzialmente soddisfatti» dichiara al quotidiano La Repubblica l’avvocato Alfredo Galasso, che ha seguito il caso. «Ricorreremo in appello», anticipa il legale: «c’è un danno morale che a Messina non è stato riconosciuto soltanto perché all’epoca la legge sulla responsabilità della magistratura era diversa ma non è un caso che sia stata modificata e che non riguardi più soltanto la limitazione della libertà personale».

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