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Diffamazione, scatta anche se le notizie sono diffuse su siti apparentemente riservati

Rientra nella fattispecie di diffamazione aggravata ex art. 595 co. 3 c.p. la condotta di colui che diffonde notizie lesive dell’onore di una persona anche se diffuse in un sito internet apparentemente riservato”.

IL FATTO

Riassumendo i fatti della vicenda, una studentessa accusava una ricercatrice che l’aveva assistita nell’elaborazione della tesi di averle copiato l’elaborato tesistico per scopi personali.

Tale accusa, in particolare, veniva esternalizzata all’interno di vari siti i cui principali utenti erano per lo più operatori universitari del settore interessato dalla ricerca, ma non per questo meno raggiungibili da una platea indeterminata di persone.

La studentessa nonostante fosse stata assolta nel giudizio incardinato dinanzi al Tribunale veniva poi condannata in grado di appello; da qui l’impugnazione della sentenza dei giudici di merito i quali ritennero che la condotta di quest’ultima integrasse gli estremi del reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595 co. 3 c.p. a norma del quale “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità , ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro”.

LA DIFESA

I motivi di doglianza della difesa erano principalmente incentrati sul dato letterale dell’art. 595 c.p., il cui terzo comma, come già esposto,  punisce più severamente il diffamatore che realizza l’offesa all’altrui reputazione con il mezzo stampa ovvero con qualsiasi altro mezzo di pubblicità o ancora con atto pubblico. La difesa sosteneva infatti che i social network non possono essere considerati alla stregua di un prodotto tipografico né ad un luogo pubblico sicché l’aggravante contestata era da ritenersi illegittima. Riqualificata come condotta diffamatoria semplice (comma 1) avrebbe dunque provocato altresì un’illegittimità in tema di competenza per materia (in caso di diffamazione semplice il giudice competente è il Giudice di Pace, il Tribunale è competente solo per le forme aggravate del reato in esame).

Infine, riteneva non sussistente il requisito della comunicazione con più persone atteso che il sito internet sarebbe un luogo privato accessibile ai soli iscritti.

IL GIUDIZIO DELLA SUPREMA CORTE

Con la sentenza n. 8482 del 22 febbraio 2017 la V Sezione penale della Corte di Cassazione, sul solco di una ormai consolidata giurisprudenza, non ha lasciato margine al dubbio ritenendo che “la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma 3,  cod. pen., in quanto trattasi di condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone”.

Ad oggi è ormai pacifico che attraverso il web è possibile realizzare condotte diffamatorie nel senso proprio del termine, ciò comporta che l’offesa del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice risulta potenzialmente più alto considerato l’innumerevole traffico di utenze nei canali telematici.

Inoltre, aggiunge la Suprema Corte, la categoria dei mezzi di pubblicità di cui al terzo comma del predetto articolo include tutti quei sistemi tecnologicamente avanzati che consentono una elevata diffusione di dati e notizie (dal fax ai social media) sicchè corretta deve ritenersi la formulazione del capo di  imputazione che riconduce il sistema internet come mezzo di pubblicità.

Da ciò discende, infine, una corretta individuazione della competenza in capo al Tribunale in composizione monocratica.

Antonio Colantoni

 

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