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Direttore sposta infermieri al pronto soccorso: non è abuso d’ufficio

Esigenze del pronto soccorso e provvedimenti contingenti: la questione

In un ospedale di Locri il direttore del dipartimento area ospedaliera decide di spostare al pronto soccorso due infermieri professionali ed un’operatrice professionale della direzione sanitaria che svolgevano le proprie mansioni presso altri reparti.

A seguito di tale provvedimento, il direttore veniva indagato per abuso ufficio, delitto previsto dall’art. 323 del codice penale, a norma del quale: “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.

Il giudice per l’udienza preliminare dichiarava con sentenza non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. perché il fatto non sussiste, “ritenendo sostanzialmente del tutto inconsistente” la tesi accusatoria.

Nella prospettazione del Gup, infatti, emergeva come i provvedimenti adottati dal direttore del dipartimento area ospedaliera non potessero considerarsi illegittimi sotto molteplici profili, in quanto erano: dotati di specifica motivazione legata alle carenze organizzative del pronto soccorso; non inquadrabili né quali trasferimento né come mobilità interna, e pertanto non necessitanti il parere delle rappresentanze sindacali; supportati da specifica delega in atti alla riorganizzazione del personale; privi di qualsiasi evidente intenzionalità di danno.

Il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione.

Direttore sposta infermieri al pronto soccorso: non è abuso d’ufficio secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, sezione VI penale, pronunciatasi con la sentenza n. 31628 del 27 giugno 2017, conferma la non sussistenza del delitto d’abuso d’ufficio, condividendo le risultanze del giudice per l’udienza preliminare e dichiarando inammissibile il ricorso.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, il Gup si sarebbe correttamente attenuto a quella che viene definita “verità processuale”, la quale chiaramente “non solo non faceva trasparire alcuna intenzionalità di danno – che è l’in sé del reato di cui all’art. 323 cod. pen. (“abuso” e non “cattivo uso” dell’ufficio) – ma, in realtà, escludeva in radice alcuna apparenza di irregolarità formale”.

Addirittura, a parere dei giudici, sotto il profilo della decisione assunta dal direttore del dipartimento area ospedaliera, “il ricorso appare fondamentalmente mirato a sindacare il merito della azione amministrativa, peraltro nel sostanziale interesse di una organizzazione sindacale”.

Inoltre, specifica la Corte, l’intenzionalità della condotta sarebbe emersa per la prima volta solamente nella ricostruzione dello stesso ricorso, nel quale si sarebbe tentato di “costruire una intenzionalità di abuso quale (ipotetica) generica ripicca [dell’imputato, n.d.r.] per essere inviso alla organizzazione sindacale” richiedendo quindi in sostanza “valutazioni in fatto non consentite in sede di legittimità.”

Chiara Pezza

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