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Divorziare con stile. Non elogio dell’avvocato

Divorziare con stile è l’occasione per conoscere l’Avvocato Malinconico, professionista squattrinato e un po’ nostalgico.

Mentre discetta su tutto, Vincenzo esprime il disagio di una categoria nevrotizzata da anni da un precariato ineluttabile e sfibrante; una nevrosi che, in effetti, si percepisce già dalle prime pagine del libro.
De Silva presenta immediatamente un ambiente isterico, in cui la frustrazione è di casa: bassezza d’animo e meschinità sono le espressioni utilizzate per descrivere un giudice di pace soprannominato “La Merda”; un giudice che, a detta di Vincenzo, avrebbe ragione di invidiare chiunque non fosse lui.
Ecco, dunque, le prime sensazioni suscitate dal romanzo: una sorta di sentimento di intolleranza nei confronti di un personaggio che pensa di essere in credito con la vita e non perde occasione per lamentarsi. Ma in fondo – lo ammette l’autore per bocca di Malinconico – viviamo in una società isterica che cova rancore e desiderio di rivalsa ma non lo dice; ci imbattiamo continuamente in piccoli arrivisti disposti a qualunque cosa pur di procurarsi un vantaggio.
E’ solo una delle tante riflessioni di un personaggio che non rivela nulla di nuovo, ma che dà voce a quel che il lettore probabilmente già pensa. La precarietà professionale di cui gli avvocati sono vittime è decisamente palpabile e non sfugge a chi legge frasi come

Gli avvocati che lavorano per vivere devono confrontarsi ogni giorno con piccoli attentati alla dignità; questa sottovalutazione sociale che si nutre delle inefficienze della Giustizia per accanirsi su di loro e trattarli da complici di un sistema lento e guasto, abusivi autorizzati che nella sostanza non fanno che lucrare sul (vero) lavoro degli altri“.

E’ una precarietà, quella presentata da De Silva, che si manifesta a tutto tondo investendo anche il campo delle relazioni umane. Mi sembra di improvvisare anche nel rapporto con i miei figli, ammette Malinconico. Mi sembra di fingere di sapere quello che dico, di occupare un ruolo che non è esattamente il mio.
E’ come se il nostro “quasi-avvocato” non fosse mai compiuto. Ed è proprio questa incompletezza, tanto professionale quanto sentimentale, a renderlo così Malinconico: Vincenzo ha la tipica nostalgia di chi si sente mancante di qualcosa che non conosce; esprime quel senso di mestizia (cui si accompagna un certo sarcasmo) che mitiga il senso di insoddisfazione e lo rende meno fastidioso agli occhi di chi legge.
Dopo i primi capitoli, in effetti, il nostro anti-eroe mostra un altro lato di sè, non sensa trovare un pizzico di ridicolo in sè e nel mondo che osserva attentamente. Vincè è’ contraddittorio e, forse per questo, estremamente umano; ha la sindrome del lieto fine, che (però) rovina un sacco di belle storie: perchè tante volte la vita ti dimostra che una storia non è bella perchè finisce bene, ma proprio perchè finisce.
All’iniziale senso di intolleranza, dunque, si sovrappone una sorta di empatia nei confronti di un personaggio un po’ goffo e tutt’altro che vincente, che per tutta la vita ha ottenuto premi di consolazione. Le pagine del romanzo si colorano di riflessioni sull’amore, battute, toni distesi e citazioni musicali; De Silva sembra cambiare registro riproponendo, di tanto in tanto, il “non elogio dell’avvocato”. Alle note di leggerezza che si scorgono soprattutto a tavola, si contrappongono osservazioni “vittimistiche” di categoria. Si sorride a cena con Veronica, affascinante cliente di Malinconico; si sorride a cena con dei vecchi compagni di scuola, quasi tutti divorziati.
Si smette di sorridere, invece, di fronte a considerazioni del tipo “Siete cosi tanti che si finisce per pensare che la vostra sia una professione alla portata di tutti“.
“Divorziare con stile”, in fondo, è semplice e complesso come il suo protagonista. Farà presto ad accorgersene il lettore; sentimento che accomuna le pagine più leggere e quelle più amare è proprio la malinconia, espressa – più di una volta – da una frase di Romeo & Juliet dei Dire Straits: “When you gonna realize it was just that the time was wrong, Juliet?“.

Claudia Chiapparrone

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