In caso di incidente stradale con esito mortale della vittima, non basta a giustificare la condanna l’eccessiva velocità del conducente. Così, con la sentenza n. 6366/2017 la Suprema Corte torna ad occuparsi di incidenti stradali e vittime della strada.
Il caso
La questione sottoposta all’attenzione dei Giudici originava da un incidente stradale con conseguenze letali per uno dei soggetti coinvolti.
Il giorno del sinistro stradale, l’imputato stava percorrendo la sua corsia di marcia, preceduto dal ciclomotore condotto dalla vittima, procedendo ad una velocità superiore al limite consentito in quel tratto di strada, allorché la vittima effettuava una repentina, quanto errata, manovra di svolta a sinistra, vietata in quel tratto e funzionale ad una inversione di marcia a “U”. In conseguenza di ciò, i due mezzi entravano in collisione e il motociclista riportava lesioni tali da determinarne il decesso.
La Corte d’Appello di Lecce accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero e dalle parti civili, in riforma della sentenza assolutoria emessa in primo grado, aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 589 cod. pen. (omicidio colposo).
L’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione.
La decisione della Corte
La Suprema Corte ha annullato con rinvio la condanna subita in appello dall’automobilista.
Alla base della decisione la carenza motivazionale e la mancata escussione dei testi.
Gli Ermellini, infatti, evidenziano che allorquando “il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata – delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sezioni Unite n. 6682 del 04/02/1992)”.
In altri termini, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, ma è richiesta la rinnovazione della istruzione dibattimentale (che si profila come “assolutamente necessaria“), nonché una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni con una maggior forza persuasiva, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio“.
Perché l’eccesso di velocità non è sufficiente a fondare la condanna?
Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte si evidenzia la necessità di una valutazione comparata delle condotte dei soggetti coinvolti nel sinistro. Il motociclista, infatti, impattava con l’autovettura (condotta dall’imputato ad una velocità superiore rispetto ai limiti prescritti) poiché effettuava una inversione ad U, svoltando repentinamente a sinistra.
Pertanto, secondo gli Ermellini, bisognava fornire una risposta “al di là di oggi ragionevole dubbio” al seguente quesito: ove l’imputato avesse tenuto una velocità pari e/o inferiore al limite imposto dalla legge in quel tratto di strada, stante la repentinità della manovra bruscamente intrapresa, senza alcuna segnalazione, dal motociclista in un tratto di strada in cui era vietata, l’incidente si sarebbe comunque verificato?
L’annullamento con rinvio rimette la questione in mano ai Giudici dell’Appello.
Domenica Maria Formica