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Esce per la messa domenicale: è evasione dagli arresti domiciliari

Libertà religiosa, diritto ad esercitare i culti della propria religione e a praticarla liberamente, diritto di manifestare e predicare all’esterno le proprie credenze religiose, questi sono alcuni dei più importanti principi del nostro diritto ecclesiastico. Almeno fin quando la Suprema Corte non ravvisa il reato di evasione per il religioso sottoposto agli arresti domiciliari che esce per recarsi alla messa domenicale.

Arresti domiciliari: il paradosso della ridotta libertà religiosa

Alcune recenti pronunce della Cassazione analizzano il delicato rapporto tra diritto di professare la propria religione, quale tutelato sin dal Trattato Lateranense, dall’Accordo di Villa Madama e dalle numerose intese con la Santa Sede, e le esigenze cautelari connesse alle misure restrittive della libertà personale diverse dalla custodia in carcere.

Paradossalmente, i detenuti in carcere avrebbero maggior possibilità di esercitare il loro diritto, in virtù delle misure di assistenza spirituale negli istituti penitenziari e del diritto di partecipare alla celebrazione dei riti cattolici assicurata, quantomeno per la domenica, nelle carceri italiane con apposito testo di legge.

Per i sottoposti alla misura degli arresti domiciliari, invece, non esistono norme che tutelino il loro diritto alla religione e ciò ha da sempre creato un acceso dibattito giurisprudenziale. Vi sono alcuni giudici che considerano la partecipazione alla messa domenicale quale un’esigenza spirituale indispensabile che dunque, ai sensi dell’art. 284 c.p.p., dovrebbe essere sempre giusta causa di autorizzazione all’allontanamento dalla dimora e altri magistrati che invece, al contrario, ritengono cause indispensabili di allontanamento solo quelle economiche e lavorative, ritenendo invece che la messa possa essere fruita dal detenuto anche dal luogo di arresto con i mezzi audiovisivi.

Arresti domiciliari: evasione per chi si reca alla messa domenicale

La Corte di Cassazione penale si è più volte espressa a favore di questo secondo orientamento.

I giudici supremi, nella recente pronuncia n. 38733/2017, hanno a che la pratica religiosa e la partecipazione ai culti rientri certamente tra le indispensabili esigenze spirituali, tuttavia ha ritenuto primarie le esigenze cautelari connesse alla misura degli arresti domiciliari. Il diritto alla libertà religiosa degli arrestati sarebbe comunque garantito dalla possibilità di partecipare al culto in via indiretta, attraverso mezzi tecnologici e televisivi. In virtù di ciò, non ravvisandosi un diritto della personalità superiore alle esigenze cautelari, il diniego di autorizzazione ad uscire per la messa domenicale non lede alcun diritto personale dell’arrestato.

Analogamente, in una passata pronuncia di alcuni anni fa, confermata nel presente caso, con riferimento alle pratiche religiose di un Testimone di Geova, la Corte di Cassazione penale aveva ravvisato il reato di evasione  per il “detenuto” che si allontanava dal domicilio oltre i limiti dell’autorizzazione giudiziale ricevuta per partecipare ai culti.

Dal complesso giurisprudenziale esistente, confermato dalla recente pronuncia, la Corte ritiene che in siffatti casi il religioso si renda consapevolmente responsabile della violazione del regime degli arresti domiciliari configurandosi il reato di evasione e non solo una mera inosservanza del provvedimento cautelare.

Martina Scarabotta

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