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Fallimento, ampio raggio d’azione per il P.M.

Con la sentenza n.8903 del 06 aprile 2017 si conferma l’interpretazione non restrittiva dell’art. 7 n. 1 della legge fallimentare ad opera della Cassazione. L’istanza di fallimento è legittima se la notitia decoctionis emerge nell’ambito delle complesse attività svolte dal P.M. nel suo ufficio.

I fatti

Una società immobiliare romana, fallisce nel 2011. Propone ricorso avverso la sentenza dichiarativa del fallimento ex art 81 l.fall., ricorso che viene respinto dalla Corte d’Appello. L’immobiliare propone quindi ricorso per Cassazione.

Tra i motivi di ricorso vi è  la violazione dell’art.7 della legge fallimentare, in relazione agli artt.100 e 69 c.p.c., avendo erroneamente la Corte ritenuto legittima l’iniziativa fallimentare del P.M. nonostante il mancato esercizio da parte di quell’organo dell’azione penale, sul mero presupposto dunque della esistenza di indagini preliminari, da cui
l’istante aveva tratto la notitia decoctionis.

Art. 7  legge fallimentare: si conferma l’interpretazione estensiva

La Cassazione ritiene tale motivo infondato. La sentenza in questione si pone nel solco di molte altre pronunce, anche recenti, della Prima Sezione, confermando quindi un orientamento ormai consolidato.

L’art. 7 della legge fallimentare, prevede che il Pubblico Ministero possa presentare istanza di fallimento in due casi:

  1.  quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;
  2. quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

La Cassazione, nell’interpretare la norma in questione, rileva che lo scopo di essa è quello di «ampliare la legittimazione del P. M. alla presentazione della richiesta per dichiarazione di fallimento a tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la “notitia decoctionis“; e tale soluzione interpretativa trova conforto sia nella previsione dell’art. 7, primo comma, n. 2, legge fall., che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, sia nella Relazione allo schema di d.lgs. di riforma delle procedure concorsuali, che fa riferimento a qualsiasi “notitia decoctionis” emersa nel corso di un procedimento penale».

A conferma della correttezza di tale interpretazione vi è la mancanza, nel dettato legislativo, di una motivazione alla richiesta di fallimento: il P.M. non è infatti tenuto ad esplicitare le ragioni dell’interesse pubblico per il quale agisce.

Fallimento: il “procedimento penale”

La fonte della notitia decoctionis è  quindi anche solo l’indagine svolta nei confronti di soggetti diversi o collegati all’imprenditore, con atti di approfondimento, sul piano investigativo, successivi alla formulazione delle richieste in sede penale, essendo sufficiente che «quegli approfondimenti non costituiscano una nuova e arbitraria iniziativa d’indagine, ma si caratterizzino come uno sviluppo di essa, collegato strettamente alle sue risultanze, per quanto non complete, già acquisite nel corso dell’indagine penale».

La nozione di procedimento penale non è quindi da fare coincidere con il segmento dell’attività processuale in cui viene esercitata l’azione penale, ma in senso ampio.

Il P.M., nell’esercitare il potere di cui all’art. 7 legge fallimentare, non è quindi vincolato al perimetro di indagine di sua stretta competenza. Una tale interpretazione potenzia, in maniera evidente, i poteri della pubblica accusa in materia di fallimento.

Maria Rosaria Pensabene

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