Le norme previste in tema di finanziamento illecito ai partiti politici non sono applicabili nei confronti del candidato sindaco, in quanto non previsto dalla legge.
Finanziamento illecito ai partiti: il caso del sindaco
Nel 2015 dalla Corte d’appello di Firenze ha confermato la condanna nei confronti dell’ex candidato sindaco al Comune di Lucca, ritenuto responsabile del reato di illecito finanziamento ai partiti. Il fatto contestato al politico era l’avere ricevuto una fattura falsa emessa da una tipografia per la fornitura di volantini elettorali e altro materiale per la campagna elettorale relativa alle elezioni amministrative in cui era candidato. La difesa del condannato ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che le norme in tema di illecito finanziamento ai partiti politici non siano applicabili al candidato sindaco in virtù del combinato disposto degli articoli 7 della legge 195 del 1974 e 4 della legge 659 del 1981 che non prevedono tra i soggetti il candidato sindaco.
Finanziamento illecito ai partiti: cosa prevede la legge
L’art. 7 della legge 195 del 1974 stabilisce che: “Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. Sono vietati altresì i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma diretta o indiretta, da parte di società non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle società di cui al secondo comma, senza che sia intervenuta la deliberazione dell’organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, è punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge”.
L’art. 4, comma 1, della legge 659 del 1981, che ha modificato la legge 195/1974, stabilisce che: “I divieti previsti dall’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonché a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici”. Tale norma non contempla il candidato alla carica di sindaco.
Finanziamento illecito ai partiti: no all’analogia in malam partem
I giudici della Suprema Corte hanno precisato che la condanna in appello sia dovuta a un’interpretazione analogica delle norme, avendo incluso anche la figura del candidato sindaco. Tale interpretazione analogica, essendo in malam partem, non è consentita dal nostro sistema giuridico. L’interpretazione analogica può applicarsi quando sia favorevole “in bonam partem” ma, nel caso in questione, l’interpretazione della norma in senso sfavorevole all’imputato non può essere ammessa in virtù del principio del favor libertatis a cui si ispira il sistema penale.
Finanziamento illecito ai partiti: la Cassazione assolve il sindaco
In virtù di questi principi, la Corte di Cassazione, con sentenza della terza sezione penale n. 28045/2017, ha assolto il candidato sindaco. I giudici hanno ritenuto irragionevole l’interpretazione estensiva applicata dalla Corte d’appello. Non si può, infatti, equiparare la carica di consigliere comunale, previsto dalla norma sul finanziamento illecito, a quella del sindaco. Di conseguenza la sentenza d’appello è stata annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Livia Carnevale