Da sempre giurisprudenza e dottrina si sono occupati di dissipare dubbi in ordine alla regolamentazione giuridica della convivenza di fatto o “more uxorio”, in virtù dell’assenza di una esauriente disciplina normativa al riguardo. La sentenza della Cassazione n° 4685/2017 ha affrontato la questione specifica della “sorte” dei beni a seguito della rottura del rapporto affettivo.
La crisi di un legame affettivo, che non abbia assunto le forme di quello coniugale, coinvolge anch’esso diverse situazioni giuridiche soggettive, tra cui il diritto di proprietà dei conviventi “uti singuli”; un diritto quest’ultimo che può tornare a massima espansione in caso di rottura. E’ quanto si desume dalla sentenza della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione n° 4685 del 2017.
La vicenda
Dopo un inziale rifiuto opposto dal Tribunale di Roma, un uomo otteneva dalla Corte d’Appello capitolina l’accoglimento della sua richiesta di restituzione di specifici oggetti ed arredi personali rimasti nell’immobile originariamente adibito a comune residenza per sé e l’ex convivente, nonostante il suo allontanamento causato dalla fine della relazione affettiva. Ritenendo sufficiente il materiale probatorio raccolto (tra cui talune dichiarazioni della stessa ex convivente, con le quali si ammetteva l’altrui proprietà), la Corte ordinava così alla donna la restituzione dei beni personali dell’uomo, ad eccezione dei beni strettamente connessi alle esigenze dei figli e rimasti in tale abitazione, assegnati – unitamente alla casa stessa- in ragione e pendenza del giudizio avente ad oggetto la restituzione richiesta.
Tra i motivi di doglianza a supporto del ricorso per Cassazione presentato successivamente dalla donna, ci si doleva in particolare di una presunta violazione, per il tramite della sentenza di secondo grado, della disciplina dettata dal Legislatore in materia di comunione dei beni.
La decisione: niente comunione dei beni “a priori”
La Corte di Cassazione, con la sentenza sopra ricordata, offre ancora una volta l’occasione per meglio comprendere la articolare disciplina giuridica che deve richiamarsi in ordine alla convivenza di fatto.
In particolare, la Corte esclude la richiamabilità, in linea di principio per tale ipotesi( e quindi per il solo fatto che ci fosse stata una convivenza), delle norme sulla comunione dei beni (artt. 1100 ss. c.c.), come di regola anche per quelle sulla comunione legale dei coniugi, la cui operatività anzi è volontariamente esclusa dai partner quando decidono di optare per un siffatto tipo di relazione, espressione infatti della libertà di esonerarsi dai vincoli che deriverebbero dal matrimonio e dalle altre formazioni sociali oggi espressamente disciplinate.
“Priva di fondamento- si legge precisamente nella sentenza n°4685– risulta la denuncia di violazione delle norme in materia di comunione dei beni, la cui disciplina non poteva trovare applicazione in assenza di allegazione di titolo negoziale. La convivenza more uxorio determina, infatti, sulla casa di abitazione dove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente, che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata”.
La particolare disciplina della convivenza di fatto
La pronuncia esaminata non aggiunge nulla di nuovo nel panorama giurisprudenziale che riguarda specificamente la posizione e la tutela giuridica del convivente “more uxorio”. Consolidato infatti è quell’orientamento pretorio che, preoccupato di tutelare il convivente nella fase della crisi del rapporto affettivo, ha riconosciuto in particolare all’ex convivente lo status di “detentore qualificato” in ordine alla comune residenza familiare – facendolo discendere dalla rilevanza costituzionale ex art. 2 Costituz. che assume la convivenza more uxorio quale formazione sociale- , il che permette di porsi al riparo da qualsivoglia spoglio clandestino o violento operato dall’altro ex partner anche se proprietario del medesimo immobile.
Tutti questi principi hanno assicurato nel tempo un minimum di tutela in passato del tutto assente: si pensi alla “presunzione di gratuità” che si riconosceva in precedenza per il lavoro svolto dall’ex partner nell’impresa dell’altro/a o al suo status di “ospite” nell’abitazione comune. Ovviamente oggi si deve tener conto della Legge 7672016, introduttiva del cd. “contratto di convivenza”. Tale disciplina ha introdotto sul punto novità interessanti, come la possibilità di optare per un regime di comunione legale dei beni, senza contare il catalogo aperto di diritti espressamente riconosciuto in quanto convivente e di strumenti di tutela che possono operare persino dopo la cessazione della convivenza (ad es. l’assegno in favore dell’ex partner economicamente più debole).
Antonio Cimminiello