Focus sui reati: delitti contro industria e commercio
I delitti contro l’industria e il commercio sono oggi contenuti nel titolo VIII del libro II del codice penale, al capo II, insieme ai delitti contro l’economia pubblica, al capo I. Tali reati meritano sicuramente un approfondimento, in particolare in relazione al loro cambiamento durante il susseguirsi dei diversi governi: infatti, rispetto al codice del 1889 (di matrice liberale) che non prevedeva alcuna tutela penale dei fatti riguardanti l’economia, il codice Rocco del 1930 (volendo tutelare in senso generico gli interessi economici) li ha inquadrati come autonomo titolo di delitti contro l’economia pubblica. Tale nuova angolazione probabilmente è dovuta, oltre che al superamento del liberismo economico, allo sviluppo di un’economia industriale di massa che ha imposto una maggior tutela per gli interessi collettivi piuttosto che per quelli individuali, nonostante le critiche mosse dalla dottrina sulle tecniche normative, ritenute poco specifiche o mal congegniate.
Tra i delitti al capo I, cioè tra quelli contro l’economia pubblica, bisogna in primis menzionare i delitti di sciopero e di serrata ex articoli 502 e 506 c.p. poiché, se nel codice del 1889 erano considerati reati lesivi della sola libertà del lavoro, il codice del 1930, in quanto figlio di uno stato corporativo, li ha eretti come reati penalmente perseguibili poiché lesivi del principio dell’abolizione della lotta tra le classi economiche. Chiaramente oggi, in uno Stato democratico quale il nostro, lo sciopero non solo è un fatto lecito ma innanzitutto legittimo, è un diritto costituzionalmente garantito: la Corte Costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità dell’art. 502 con sentenza 4 maggio 1960 numero 29 (e successivamente ha proceduto a dichiarare l’illegittimità dei susseguenti articoli nella parte in cui non conformi alla Costituzione del 1948).
Focus sui delitti contro l’industria e il commercio
Per quanto riguarda invece i delitti contro l’industria e il commercio, viene in rilievo non già l’esigenza di tutela di interessi economici globali, quanto la penalizzazione di comportamenti che, arrecando possibili pregiudizi al corretto esercizio di attività industriali e commerciali, danneggiano gli interessi di più persone. Tra questi ritroviamo:
- Art. 513, turbata libertà dell’industria e del commercio: la fattispecie è volta alla tutela del normale esercizio di attività industriale o commerciale e si rivolge contro chiunque adoperi violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio, costituendo così un’ipotesi di dolo specifico. Il fatto è punibile a querela dell’offeso, con la reclusione fino a due anni e con multa da 103,29€ a 1.032,91€. Per mezzi fraudolenti possono intendersi artifici, raggiri ecc. mentre è da escludersi, secondo quanto affermato dalla Cassazione, la concorrenza sleale (in quanto quest’ultima è semmai preposta allo scopo di realizzare un vantaggio economico).
- Art. 513 bis, illecita concorrenza con minaccia o violenza: il reato è stato introdotto dalla legge antimafia numero 646 del 1982 in vista dell’esigenza di repressione di reati di stampo mafioso (quali lo scoraggiamento della concorrenza tramite esplosione di ordigni, minacce o violenze alle persone) che il precedente sistema non era in grado di reprimere, nonostante la dottrina la ritenga oggi una fattispecie più che altro simbolica (in quanto, secondo la critica, non estenderebbe realmente l’ambito della precedente protezione penale, conterebbe degli elementi discordanti ed è priva di riscontri giurisprudenziali). Chi, nell’esercizio di un’attività industriale o commerciale, realizza atti di concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni, ma la pena è aumentata se tali atti riguardano un’attività finanziata in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici. Occorre inoltre sottolineare che tale delitto comprende anche quello di violenza privata e di danneggiamento.
- Art. 515, frode nell’esercizio del commercio: la norma tende a tutelare l’onestà e la correttezza negli scambi commerciali, punendo chi consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero diversa da quella pattuita, con la reclusione fino a due anni o con multa fino a 2.065,83€ (se si tratta però di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a 103,29€). Nell’ipotesi in esame, viene tutelato l’interesse patrimoniale del singolo in un contesto generale, essendo l’intento del legislatore quello di impedire le condotte disoneste commerciali potenzialmente dannose per la massa dei consumatori. La frode in commercio presuppone infatti l’esistenza a monte di un contratto che produce l’obbligo di consegna di una cosa mobile. La diversità di quest’ultima, da quella dichiarata o pattuita, deve riguardare l’origine ovvero il luogo di produzione, la provenienza, la qualità ovvero la quantità e nessuna funzione svolge, in tale fattispecie, l’atteggiamento psicologico dell’acquirente.
- Art. 516, vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine: anche in tale ipotesi la tutela è rivolta alla buona fede negli scambi commerciali, contro chiunque pone in vendita come genuine sostanze alimentari non genuine. Costui è punibile con la reclusione sino a sei mesi o con la multa sino a 1.032,91€, intendendosi per “genuinità” la condizione di un alimento che non abbia subìto processi di alterazione biochimici, nel senso naturale del termine. L’accezione formale o legale del termine invece intende un prodotto che sia conforme ai requisiti formali previsti dalla legge.
- Art. 517, vendita di prodotti industriali con segni mendaci: anche questa volta viene tutelata la buona fede e la correttezza in virtù degli interessi globali dei consumatori. La norma punisce infatti chiunque vende o pone in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, con la reclusione fino a due anni o con multa fino a ventimila euro. I contrassegni nazionali o esteri devono essere idonei ad ingannare il compratore in relazione alle abitudini del consumatore medio. L’inganno riguarda altresì le ipotesi previste dall’art. 515 sopra menzionate.
- Art. 517 bis (circostanze aggravanti): l’articolo successivo stabilisce che le pene ex articoli 515, 516 e 517 se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o le cui caratteristiche sono protetti dalle norme vigenti.
- Art. 517 ter, fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale: tale fattispecie, insieme all’art. 517 quarter, è stata introdotta dalla legge numero 99 del 2009 a seguito dell’esigenza di contrasto del sempre più crescente fenomeno della contraffazione. In questo caso oggetto di tutela è non un interesse collettivo ma privato, ed in particolare l’interesse economico del titolare del diritto di una proprietà industriale, come si può desumere dal regime di procedibilità a querela della persona offesa (la pena è della reclusione fino a due anni e con multa fino a ventimila euro). L’usurpazione è infatti l’imitazione del marchio o del brevetto. Non è inoltre giustificabile chi ha colposamente ignorato l’esistenza di un titolo di proprietà. Il quarter invece riguarda la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agro-alimentari, con la previsione della medesima precedente pena. La ratio è la protezione della fiducia dei consumatori nella provenienza e nella qualità dei prodotti secondo uno schema più severo.
Cristina Ciulla