Focus sul diritto all’oblio: presupposti e confini giurisprudenziali
La Commissione di studio sui diritti e i doveri relativi ad Internet, istituita il 28 luglio 2014, dopo un anno di lavoro ha creato la Dichiarazione dei Diritti in Internet, approvata dalla Commissione e pubblicata il 28 luglio 2015.
L’art. 11 di tale Dichiarazione è rubricato “Diritto all’oblio” e sancisce che:
1. Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica.
2. Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
3. Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque può impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.
Ma come si è arrivati a questo riconoscimento? Per avere un quadro completo è necessario fare un passo indietro …
Diritto all’oblio, un diritto di creazione giurisprudenziale.
Il diritto all’oblio, come diritto fondamentale della persona, è sicuramente di creazione giurisprudenziale, in principio strettamente correlato all’art. 2 della Costituzione e all’art. 8 della CEDU.
Negli anni ‘90 la dottrina comincia ad adoperarsi per riconoscere la piena autonomia del “diritto ad essere dimenticati”, anche attingendo alle esperienze straniere; ma è il progresso della tecnologia e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, che ha inciso sulle modalità e sui contenuti delle comunicazioni, che ha determinato una spinta all’evoluzione della giurisprudenza in materia di riconoscimento del diritto teso ad impedire che fatti già resi di pubblico dominio possano essere rievocati, nonostante il tempo trascorso ed il venir meno del requisito della attualità, per richiamare su di essi (e sui soggetti, altrimenti dimenticati, coinvolti in tali vicende) nuovamente l’attenzione del pubblico, proiettando l’individuo, senza il suo consenso, verso una nuova notorietà non voluta.
In quest’ottica è facilmente intuibile che a fare da antagonista al diritto all’oblio sia il diritto alla libera manifestazione del pensiero, nonché il diritto di cronaca e critica. Come è risaputo, l’esercizio di quest’ultimo è legittimo a sua volta solo se rispetta i canoni individuati dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza n.5259/1984 (c.d. catalogo del giornalista): verità dei fatti divulgati, forma civile dell’esposizione, interesse pubblico alla diffusione della notizia.
Ebbene, proprio degli anni novanta sono le prime pronunce di merito che implicitamente riconoscono il diritto all’oblio.
Diritto all’oblio, le prime sentenze di merito
Con la sentenza del 1995 il Tribunale di Roma afferma che “non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, per mancanza dell’utilità sociale della notizia, la riproduzione, nel contesto di un gioco a premi, della prima pagina di un’edizione d’epoca ( risalente al 1961) , in cui sia evidente un titolo contenente il nome di un individuo reo confesso di omicidio.” Vengono dunque accolte le rimostranze di quest’ultimo, che, intanto, aveva ottenuto un provvedimento di grazia condizionale dal Presidente della Repubblica e aveva tentato di reinserirsi socialmente.
Un anno dopo, sempre il Tribunale di Roma, trovandosi a giudicare in merito alla richiesta di inibizione della diffusione di uno sceneggiato realizzato nell’ambito di un ciclo dedicato dalla RAI ad un grande processo di circa 30 anni prima, riconosce il diritto all’oblio, ma non fino al punto di impedire la diffusione della trasmissione televisiva. Il Tribunale si limita a ordinare l’omissione di ogni citazione dei nomi di soggetti la cui utilizzazione non corrisponde ad alcuna esigenza socialmente apprezzabile. È l’8.11.1996.
A distanza di qualche giorno lo stesso Tribunale torna a pronunciarsi analogamente, precisando che “la legittimità del sacrificio dell’interesse del singolo a vedere rispettate la propria identità personale, la propria immagine e la propria riservatezza, è riconosciuta tutte le volte che possa ravvisarsi un interesse pubblico alla diffusione della vicenda, che la stessa venga narrata dopo un attento controllo delle fonti e comunque in modo tale da non realizzare un’opera denigratoria delle persona che ne è stata protagonista, menomandone i beni dell’onore, del decoro e della di lei reputazione”. Trib. Roma 20.11.1996.
Diritto all’oblio, il riconoscimento della Corte di Cassazione
Ma nel 1996 è anche la Corte di Cassazione a pronunciarsi sul bilanciamento tra i due diritti antagonisti con la sentenza n. 978. (Cass. 7 febbraio 1996, n. 978) “Nella dialettica che viene ad instaurarsi tra il diritto alla identità personale ed i contrapposti diritti di cronaca e di creazione artistica, si riflette quel fenomeno di confliggenza di interessi che trova soluzione attraverso il contemperamento e l’equo bilanciamento delle libertà antagoniste, in modo che la tutela dell’una non escluda quella delle altre. Un tale bilanciamento di opposti valori costituzionali si risolve nel riconoscimento della libera esplicabilità del diritto di cronaca e nella sua prevalenza sul diritto all’identità personale ove ricorra la condizione della verità dei fatti, oltre a quella dell’utilità sociale e della continenza formale”.
Invero, bisognerà aspettare altri due anni perché i giudici di legittimità affrontino più esplicitamente la questione dando una definizione al diritto all’oblio.
E’ il 1998 e la Cassazione con la sentenza n. 3679/1998 definisce il diritto all’oblio come quel diritto che permette ad un soggetto di non restare esposto per sempre ai danni causati da una notizia lecitamente pubblicata nel passato e che successivamente continua a danneggiare la sua reputazione: “non è lecito divulgare nuovamente, dopo un consistente lasso di tempo, una notizia che in passato era stata legittimamente pubblicata”.
È la fine degli anni novanta e di un periodo in cui la giurisprudenza legava il diritto all’oblio unicamente all’evento della ripubblicazione della notizia; nel frattempo però l’era digitale si è imposta e internet si è diffuso. Si crea un “contenitore” in cui vengono conservate informazioni di qualunque genere, senza limiti di spazio e di tempo, cosi da garantire in ogni momento e in ogni dove l’accesso. La questione non è più limitata alla ripubblicazione della notizia; adesso la notizia sopravvive, dal momento in cui viene inserita nel contenitore rimane lì e vi si può accedere in qualunque momento. Non c’è più un evento teso a ricatturare l’attenzione del pubblico, in quanto, potenzialmente, non è mai uscita dalla sua attenzione: è rimasta in memoria …
Diritto all’oblio, la storica sentenza n. 5525/2012 della Cassazione
I tempi cambiano, e cosi anche gli interrogativi e con la sentenza n. 5525 del 2012 la Corte di Cassazione si chiede cosa debba prevalere tra la memoria storica e la tutela dei diritti della personalità. Si trova ad affrontare il caso di un quotidiano nazionale, che nel 1993 aveva pubblicato un articolo in cui si dava notizia dell’indagine e dell’arresto di un politico nell’ambito della gestione di alcune società municipalizzate.
Successivamente, il soggetto veniva liberato e assolto dalle accuse di corruzione e ricettazione, ma a seguito della digitalizzazione dell’archivio storico del quotidiano, inserendo nei motori di ricerca nome e cognome dello stesso, la prima notizia ad essere trovata, dopo più di dieci anni, era ancora quella dell’ arresto. A questo punto il Sig. X si rivolgeva in primo luogo all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e richiedeva il blocco della diffusione dei propri dati personali contenuti nell’articolo di cronaca, e in seguito al rigetto della richiesta si rivolgeva al Tribunale che si esprimeva negativamente, non concedendo la possibilità di applicazione del diritto all’oblio.
La vicenda arriva in Cassazione e la Corte afferma che “il diritto all’oblio salvaguardia in realtà la proiezione sociale dell’identità personale, l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall’accadimento del fatto che costituisce l’oggetto) di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto … nel godimento della propria personalità.”
Dunque per la Cassazione una notizia, pubblicata lecitamente tempo prima, se con il passare del tempo perde di attualità a causa dei possibili accadimenti sopravvenuti, diventa lesiva del diritto alla personalità del soggetto interessato: la perdita di attualità, pertanto, è il presupposto dell’applicazione del diritto all’oblio; se lo spostamento in un archivio storico di un articolo non avviene in modo da assicurare il suo aggiornamento, la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera.
La Corte collega il diritto all’oblio al controllo che il titolare può esercitare sui dati personali al fine di tutelare la propria immagine sociale. Tale controllo può tradursi con la pretesa di aggiornare e contestualizzare una notizia, anche se vera e di cronaca e ciò in virtù dell’art. 7 terzo comma d.lgs.n.196/2003 che sancisce il diritto dell’interessato ad ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non e’ necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
Conclude, infine, decidendo che è il titolare del sito e non il motore di ricerca a dover salvaguardare l’identità personale dell’individuo, in quanto quest’ultimo è mero intermediario automatico per il reperimento di dati ed informazioni attraverso parole chiave, e potrebbe diventare responsabile nel momento in cui trasformasse le informazioni.
Diritto all’oblio, i provvedimenti dell’Autorità Garante
È sulla scia di questa fondamentale pronuncia che, con i provvedimenti del 20 dicembre 2012 e del 24 gennaio 2013, il Garante, accogliendo i ricorsi di due cittadini, ordina ad una società editrice di aggiornare alcuni articoli presenti nell’archivio storico online di un suo quotidiano.
In realtà, già nel 2005 il Garante si era espresso in merito al diritto all’oblio, cui si era appellato un operatore pubblicitario, che chiedeva che venissero disposti nei confronti di un ente pubblico gli opportuni accorgimenti per interrompere quella che riteneva una perpetua “gogna” elettronica. Il Garante gli aveva dato in parte ragione e aveva previsto che l’ente continuasse a divulgare sul proprio sito istituzionale le decisioni sanzionatorie riguardanti l’interessato e la sua società, ma – trascorso un congruo periodo di tempo – collocasse quelle di vari anni or sono in una pagina del sito accessibile solo dall’indirizzo web. Tale pagina, ricercabile nel motore di ricerca interno al sito, doveva essere esclusa, invece, dalla diretta reperibilità nel caso di consultazione di un comune motore di ricerca, anziché il sito stesso.
E ancora, nel 2009 con il provvedimento «Archivi storici online dei quotidiani e reperibilità dei dati dell’interessato mediante motori di ricerca esterni» ha considerato fondato l’esercizio del diritto di opposizione al trattamento per motivi legittimi e la legittimità dell’aspirazione della ricorrente in quel procedimento «affinché in rete, per mezzo delle “scansioni” operate automaticamente dai motori di ricerca esterni al sito dell’editore resistente, non restino associate perennemente al proprio nominativo le notizie oggetto dell’articolo».
Diritto all’oblio, la Corte Costituzionale e la sentenza n.287/2010
Nel 2010 anche la Corte Costituzionale dà il proprio contributo con la sentenza n. 287/2010 con cui dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera d), del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (T.U. disp. legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), nella parte in cui impone l’iscrizione perenne nel casellario giudiziale delle condanne alla pena dell’ammenda per le contravvenzioni per le quali è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, escludendo irragionevolmente tali pronunce dalla disciplina prevista per le condanne di identico titolo per le quali non era stata concessa la sospensione condizionale della pena, per le quali la cancellazione dal casellario è prevista decorsi dieci anni.
La Corte accorda tutela al “diritto all’oblio di chi si sia reso responsabile in tempi passati di modeste infrazioni alla legge penale e per un periodo congruo non abbia commesso altri reati”.
Diritto all’oblio, la Cassazione del 2013
Ma la Corte di Cassazione non si ferma e nel 2013 ancora un’importante pronuncia, la n. 16111 con cui enuncia il seguente principio di diritto: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate trova il limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l’attualità. Diversamente, il pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni si risolve in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza, mancando la concreta proporzionalità tra la causa di giustificazione (il diritto di cronaca) e la lesione del diritto antagonista”.
Diritto all’oblio, la Corte di Giustizia Europea e la sentenza 131/2014
Gli organi giurisdizionali nazionali si sono espressi; è la volta della CGUE. È il 13 maggio 2014 e viene pubblicata la sentenza 131/2014 della Corte di Giustizia Europea con cui riconosce il diritto della persona all’oblio alla luce della direttiva 95/46/CE in materia di trattamento dei dati personali, dandole un’interpretazione molto diversa rispetto a quella datale dalla Cassazione nel 2012. In forza di tale normativa il gestore del servizio di motore di ricerca è ritenuto titolare del trattamento dei dati e, come tale, ha ora l’obbligo di evitare che determinate pagine web vengano elencate negli indici delle ricerche se i contenuti ospitati sono ritenuti non più giustificati da finalità attuali di cronaca. Dunque il motore di ricerca diventa responsabile della rimozione del link dallo stesso, indipendentemente dalla sua persistenza della notizia alla fonte, ossia nell’archivio del sito sorgente.
Partendo dall’assunto che un diritto all’oblio esiste nell’ordinamento comunitario e come presupposto richiede che i dati personali non siano più aggiornati – stante il fatto che nel momento in cui i dati non sono aggiornati il loro trattamento non è conforme alla direttiva e quindi illegittimo – con conseguente diritto alla rettifica, cancellazione o congelamento degli stessi, la Corte ritenuto, in tal caso prevalente l’interesse del soggetto, ritiene possibile per quest’ultimo ricorrere al diritto di opposizione.
A distanza di pochi giorni, il 30 Maggio, Google, a tal fine, ha messo a disposizione di tutti i cittadini europei un modulo online per la “Richiesta di rimozione di risultati di ricerca ai sensi della legge europea per la protezione dei dati” tramite il quale gli interessati possono sottoporre al motore di ricerca la propria domanda. Quando il motore di ricerca non provvede alla rimozione, gli interessati potranno rivolgersi all’Autorità Garante che con il provvedimento del 26.10.2015 ha comunicato che sui 50 ricorsi definiti, ha accolto la richiesta di deindicizzazione sia in caso di informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata; sia quando la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona.
Diritto all’oblio, i Tribunali nazionali dopo la CGUE
I principi esposti nella su estesa pronuncia e contenuti nelle linee guida emanate dall’Article 29 Data Protection Working Party nel novembre 2014 sono stati integralmente recepiti dal Garante Privacy nelle decisioni rese successivamente ad essa, nonché dalla giurisprudenza di merito, primo fra tutti il Tribunale di Roma che è tornato sull’argomento con la sentenza del 3.12.2015 con cui ha affermato che “il trascorrere del tempo, ai fini della configurazione del diritto all’oblio, si configura quale elemento costitutivo, come risultante anche dalla condivisibile sentenza n. 5525/2012 della Suprema Corte, nella quale questo viene configurato quale diritto “a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino oramai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”, presupposto nella specie assolutamente insussistente, risalendo i fatti al non lontano 2013 (o al più al luglio 2012, secondo due dei risultati della ricerca) ed essendo pertanto gli stessi ancora attuali”.
Per un ulteriore approfondimento sulla sentenza leggi: Google, il diritto all’oblio e i Tribunali Italiani.
Diritto all’oblio, i provvedimenti del 2016
Nel 2016 due importanti pronunce del Garante: quella del 21 aprile e quella del 27 ottobre, in cui ribadisce come il trattamento dei dati non possa ritenersi illegittimo quando “riferito a fatti rispetto ai quali può ritenersi ancora sussistente l’interesse pubblico alla conoscibilità della notizia, in quanto, pur traendo origine da una vicenda risalente nel tempo, i successivi sviluppi processuali ne hanno rinnovato l’attualità”.
Per un maggiore approfondimento si rinvia a: Oblio e cronaca, quando i diritti si contrappongono e Garante privacy, no diritto all’oblio per casi giudiziari gravi.
Non si può, dunque, dire che l’intervento giurisprudenziale in merito al diritto all’oblio sia stato mancante. Anche in quest’ultimo anno, i Giudici di Piazza Cavour sono tornati sulla questione: con la sentenza n. 13161/2016 e con la n. 39452/2016.
Con la prima, esprimendosi in ordine al risarcimento danni a causa del mancato oscuramento dei dati, hanno precisato come “Alla base del riconoscimento del diritto all’oblio, ai fini del risarcimento del danno, l’illecito trattamento di dati personali viene specificamente ravvisato non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo di cronaca e nemmeno nella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicato diverso tempo addietro e della sua diffusione sul Web con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti.”. Con la seconda, accordano il risarcimento del danno del ricorrente, stante la mancanza di attualità della notizia.
Per un maggior approfondimento leggi: Diritto all’oblio: guai a rispolverare vecchie storie.
Ma il 2016, non ha visto solo l’intervento degli organi giudicanti; il 24 maggio è entrato in vigore il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali che diventerà definitivamente applicabile in via diretta in tutti i Paesi UE a partire dal 25 maggio 2018, quando dovrà essere garantito il perfetto allineamento fra la normativa nazionale in materia di protezione dati e le disposizioni del Regolamento.
Il Regolamento n. 2016/679 ha recepito il diritto all’oblio all’art. 17 dove viene sancito che l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:
a) i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
b) l’interessato ritira il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati;
c) l’interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento;
d) i dati sono stati trattati illecitamente;
e) i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento;
f) i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.
Per tutto il resto non rimane che attendere …
Iolanda Giannola