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Furto del contenuto della cassetta di sicurezza: risarcisce la Banca?

Furto del contenuto della cassetta di sicurezza: risarcisce la Banca?

E’ questa una ragionevole domanda che tutti i clienti degli istituti di credito, dovrebbero porsi, nell’eventualità accada l’irreparabile e tutto vada perduto.

Le cassette di sicurezza, infatti, spesso contengono oggetti di inestimabile valore, quantificabile non solo per quello patrimoniale ma anche affettivo. E’ vero, sarebbe pressappoco rischioso conservali in un luogo poco protetto come la propria abitazione, ma la Banca invece? Quali garanzie fornisce, in questa remota, ma pur prevedibile evenienza?
Sul punto si è espressa la Corte di Appello di Napoli, chiamata a rivedere la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale partenopeo.

Il fatto ed il giudizio di primo grado

Con atto di citazione, due fratelli residenti nella periferia napoletana, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli, l’istituto bancario, presso il quale possedevano una cassetta di sicurezza, per sentirlo condannare al risarcimento del danno da furto di valori contenuti nella stessa, forzatamente aperta nel corso di una rapina perpetrata in danno della banca.
La banca convenuta si costituiva in giudizio sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza della domanda attorea chiedendone il rigetto ed escludeva la configurabilità di ogni responsabilità, in quanto si era verificata una rapina non evitabile nonostante le cautele e le misure di
sicurezze apprestate. Deduceva altresì la responsabilità degli attori per aver immesso nella cassetta di sicurezza beni di valore eccedente il limite convenzionale di dieci milioni di lire. Inoltre, eccepiva l’irrilevanza della documentazione fornita dagli attori ai fini della prova dell’esistenza degli
oggetti indicati in citazione, della loro inclusione nella cassetta e del loro valore.
Il Tribunale di Napoli, conclusa l’istruttoria, in accoglimento della domanda attorea, dichiarava la responsabilità della banca e la condannava al risarcimento dei danni in favore dei fratelli campani.

L’appello

La banca appellante articola con la sua impugnazione sei motivi di gravame, ed in particolare la mancanza di responsabilità della banca, vittima di rapina, nel mentre i precedenti richiamati a supporto della decisione impugnata erano riferibili alla ben diversa ipotesi di furto.
E proprio ad avviso della Corte territoriale, occorre esaminare innanzitutto tale motivo di appello in quanto l’accoglimento dello stesso risulterebbe assorbente di ogni altra censura considerato che attiene alla configurabilità della responsabilità della appellante accertata nel giudizio di prime cure.
In effetti, la banca respinge ogni addebito sostenendo che le misure di sicurezza apprestate erano più che ampie e sufficienti. A sostegno dell’assunto, l’appellante richiama quanto già evidenziato in
primo grado in ordine all’esistenza di sistemi di sicurezza, sia tecnologica sia umana, presenti all’ingresso dei locali, mentre i malviventi si sono introdotti nei locali dell’agenzia praticando un foro nel muro dell’immobile adiacente, motivo per cui alla banca non può essere imputato alcunché; alla circostanza di fatto che, al momento della rapina, i sistemi di sicurezza, anche del caveau, erano disattivati per consentire, al personale presente all’interno, di completare le operazioni contabili di chiusura della giornata; al reato perpetrato in danno della banca, ovvero quello di rapina che, quale evento ineluttabile ed indefettibile, commesso con la violenza delle armi, avrebbe, in ogni caso, a differenza del furto, vanificato qualsivoglia sistema di sicurezza, comunque esistente.
Sul punto, però, il tribunale, nel primo grado di giudizio, in parte motiva della sentenza impugnata, aveva già puntualmente posto in evidenza i seguenti elementi fattuali che risultano, peraltro, tuttora incontestati, ossia che nelle circostanze spazio – temporali in cui è avvenuto il furto, tutti i sistemi di sicurezza erano disattivati in quanto i dipendenti erano ancora nella filiale per le operazioni di chiusura; la guardia giurata ha lasciato la filiale verso le ore 16,30 e, quindi, poco prima della rapina quando l’attività era ancora in corso (se pur la banca
era chiusa all’accesso del pubblico); i ladri si sono introdotti all’interno dei locali praticando un foro nel muro dell’immobile adiacente la banca (da tempo disabitato), costituito da
parete in lapilcemento per civile abitazione; nessuno dei testi, dipendenti della banca, ha potuto riferire della presenza di protezione time-lock, né se vi fosse cassaforte con
temporizzazione, mentre il cassiere ha dichiarato che gli armadi erano privi del sistema time-lock,
che solo in epoca successiva fu inserito.

La responsabilità ai sensi dell’art. 1839 c.c.

Tutti siffatti elementi, valutati nel loro complesso, hanno correttamente portato il giudice di prime cure a ravvisare l’ipotesi di responsabilità della banca ex art. 1839 c.c. in base al quale «Nel servizio delle cassette di sicurezza, la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei
locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito».
Invero, come da costante giurisprudenza, argomenta la Corte, “la funzione tipica del servizio bancario delle cassette di sicurezza consiste nel mettere a disposizione del cliente una struttura materiale, tecnica ed organizzativa, idonea a realizzare condizioni di sicurezza superiori a quelle raggiungibili dal cliente nella sua sfera privata. Si deve quindi presumere massima la protezione promessa dalla banca nel prestare tale servizio e da tale responsabilità la banca può liberarsi unicamente fornendo prova rigorosa del caso fortuito, dimostrando cioè come l’inadempimento dell’obbligazione di custodia sia riconducibile ad una impossibilità oggettiva e non imputabile alla stessa” (Cass. civ. Sez. I, 27/08/1997, n. 8065).
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso che il caso fortuito, quale esimente della responsabilità della banca, potesse essere integrato dal furto, e ciò perché trattasi di un evento sicuramente prevedibile in considerazione della stessa natura della prestazione dedotta nel contratto.

L’onere probatorio della banca

Appare utile precisare poi ed i giudici di appello, lo evidenzieranno spesso nella parte motiva, che la banca in caso di sottrazione di beni dalle cassette di sicurezza ha l’obbligo di dimostrare l’adozione di adeguati sistemi di sicurezza in relazione all’intera struttura, attraverso la quale è possibile accedere alle cassette e non soltanto limitatamente ai locali in cui sono ubicate le stesse. La prova imposta alla banca, però, non può limitarsi ad una generica dimostrazione della ordinaria diligenza, essendo esteso l’onere probatorio sino al limite della dimostrazione dell’assenza di qualsiasi colpa, ciò in quanto la prestazione alla quale è tenuta la banca ricade unicamente nella sua sfera di controllo.

Le criticità della tesi difensiva dell’appellante

Nel caso di specie, invece, è emerso con chiarezza che i locali della filiale erano dotati di muri divisori di quelli civili abitazione e, quindi, non potevano di certo ritenersi idonei ad ospitare, con sicurezza, l’esercizio dell’attività creditizia.
D’altronde l’odierna appellante era ben consapevole, secondo i giudici del grado di appello, della vulnerabilità perimetrale della sede della filiale posto che il dirigente della sede centrale dell’istituto di credito, responsabile degli impianti di sicurezza di tutte le filiali, escusso come teste, aveva dichiarato che i locali da cui erano penetrati i malviventi erano disabitati ed erano divisi dai locali della banca da una parte di lapilcemento per civili abitazioni.
Particolare rilievo assume al riguardo, sempre secondo i magistrati, anche la dichiarazione del cassiere della filiale e presene alla rapina, il quale nel corso dell’escussione, quale testimone aveva dichiarato con riferimento agli armadi nei quali erano custodite le cassette di sicurezza che gli stessi erano privi del sistema time-lock che solo in epoca successiva fu inserito. La vigilanza inoltre avrebbe dovuto essere garantita almeno per l’intero arco temporale di attività e presenza all’interno della filiale dei dipendenti ed il caveau avrebbe dovuto essere comunque chiuso, anche quando al suo interno operi il dipendente di turno per le incombenze quotidiane.
Né può ritenersi esimente per la banca la circostanza per la quale la sottrazione dei valori sia avvenuta nel corso di una rapina, posto che detto reato, al pari del furto, non risulta affatto evento ineluttabile, indifendibile, in quanto, ove fossero state adottate le cautele, risultate, per quanto sopra
esposto, assolutamente deficitarie, le stesse sarebbero state di certo idonee a prevenire anche la rapina, perpetrata secondo le modalità sopra descritte.
Per quanto riguarda l’eccezione formulata dall’istituto di credito sulla violenza come propria esimente, ad avviso della Corte di Appello, sempre con riferimento ad altre cause analoghe concernenti la stessa rapina, nel caso esaminato la stessa è intervenuta solo nella seconda fase esecutiva cioè quando i malfattori si erano già introdotti nei locali della banca attraverso il foro praticato nei giorni precedenti. Pertanto, la violenza non è servita a rendere l’evento inevitabile, atteso che in ogni momento la banca deve garantire la sorveglianza e la chiusura con adeguato sistema di allarme del locale ove sono ubicate e custodite le cassette di sicurezza.
In ordine all’eventuale esimente eccepita dall’appellante, anche a voler prescindere dalla specifica responsabilità ex art. 1839 c.c. della banca, la responsabilità può configurarsi, secondo i giudici, anche per difetto di diligenza che deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività
esercitata (art. 1176, comma 2, c.c.). La prestazione della banca nel servizio bancario delle cassette di sicurezza, infatti, ha ad oggetto un facere che consiste nel garantire alla clientela l’idoneità e la sicurezza dei locali ove le cassette sono situate.

La decisione

Si palesa così, con evidenza, ad avviso dei giudici, come l’aver predisposto misure di sicurezza astrattamente ritenute idonee dalla banca, non consenta in alcun modo di esonerarla dalla responsabilità ad essa ascritta nella sentenza di primo grado, se solo si considera che la rapina è stata compiuta in maniera indisturbata a causa dell’assenza di vigilanza, dall’assenza di chiusure, anche temporizzate, del caveau, dell’inidoneità delle pareti divisorie, configurandosi dunque nel
caso di specie una condotta connotata da colpa grave.
Infine, circa l’eccezione formulata dall’appellante, sulla mancata soddisfazione dell’onere probatorio da parte degli appellati, sulla prova del contenuto della cassetta, la Corte di Appello si allinea totalmente a quello che già il tribunale, in parte motiva, aveva correttamente richiamato sulle deposizioni testimoniali di coloro i quali, precisate le ragioni della conoscenza (erano gli unici ad accompagnare i titolari in banca in occasione dei depositi e dei prelievi), avevano confermato il contenuto della cassetta, fornendo specifiche indicazioni sulla provenienza, la descrizione e le caratteristiche di alcuni di essi.
In definitiva, la Corte di Appello di Napoli, ritiene infondato l’appello e conferma la sentenza di primo grado.

Mariano Fergola

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