Il collaboratore fisso di una testata giornalistica va considerato a tutti gli effetti un lavoratore dipendente.
Lo ha specificato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10685 del 3 maggio 2017, secondo la quale il collaboratore fisso è colui che «mette a disposizione le proprie energie lavorative, per fornire con continuità̀ ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la “copertura” di detta area informativa, rientrante nei propri piani editoriali e nella propria autonoma gestione delle notizie da far conoscere, contando, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla piena disponibilità del lavoratore, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra».
In particolare, la Corte precisa che, per la configurabilità della qualifica di collaboratore fisso, di cui all’art. 2 del c.c.n.l. lavoro giornalistico, va rimarcato come la responsabilità̀ di un servizio è da intendersi quale impegno da parte del giornalista nel trattare, con continuità̀, uno specifico settore o specifici argomenti d’informazione.
Giornalisti, il collaboratore fisso è un lavoratore dipendente: la decisione della Corte
Tra i motivi addotti dal ricorrente, le disposizioni ex art.61 del d.lgs. n. 276/2003 ed ex art. 409 c.p.c.: queste prevedono che la collaborazione autonoma possa essere resa anche attraverso continuità e coordinazione.
Il soggetto sostiene altresì che, in relazione alla persistenza dell’impegno del giornalista di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, in precedenza sia stata resa una motivazione contraddittoria. La Corte avrebbe omesso di fornire una motivazione in relazione alla posizione subordinata del lavoratore al potere direttivo della direzione aziendale.
Nell’attività giornalistica, il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia della prestazione lavorativa ma anche per la sua natura prettamente intellettuale. La conseguenza è che, ai fini dell’individuazione del vincolo di subordinazione, rileva l’inserimento continuativo delle prestazioni nell’organizzazione dell’impresa.
A fronte di questi riconoscimenti in termini di principio, tuttavia, il giornalista ha visto rigettarsi il ricorso per ragioni processuali. La Corte rileva infatti che, “pur a fronte di denunciati vizi di violazione di legge, in realtà si lamenta principalmente una erronea valutazione delle circostanze fattuali che, se rettamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre ad escludere la ricorrenza della subordinazione e, dunque, un vizio motivazionale”.
Eloisa Zerilli