Il lavoro dei giornalisti è sempre più dinamico e, grazie all’ausilio delle tecnologie, lo si può svolgere in qualsiasi luogo ed in qualsiasi ora. Se la modernità ha inciso da un lato sulle dinamiche del lavoro, dall’altro, il tempo, la quantità e qualità del lavoro che un giornalista svolge, restano sempre i tratti distintivi della natura giuridica del rapporto che si instaura tra lui e il suo editore. Natura giuridica che trova la sua consacrazione nel CCNL che inquadra e definisce le diverse figure professionali. In questo articolo cercheremo di capire, grazie all’apporto chiarificatore della più recente giurisprudenza, quali sono gli elementi che caratterizzano un rapporto di lavoro giornalistico subordinato in qualità di “collaboratore fisso”.
La prima norma a cui fare riferimento è l’art. 2 del CCNL dei Giornalisti che considera collaboratori fissi “coloro che non prestano opera giornalistica quotidiana, ma per i quali sussiste continuità della prestazione e vincolo di dipendenza e responsabilità del servizio”. La definizione consente fin da subito di evidenziare che il collaboratore fisso, a differenza del redattore ad esempio, è svincolato dall’obbligo quotidiano di presenza pur dovendo assicurare un certo numero di articoli al mese.
Il caso
Così dichiarava di lavorare una giornalista del Corriere del Mezzogiorno la quale riteneva di avere diritto, in ragione della sua qualifica di collaboratore fisso, a differenze retributive che l’editore le contestava. Quest’ultimo sosteneva, infatti, che la giornalista non fosse stabilmente inserita nell’organizzazione dell’impresa e che quindi non la si potesse, di fatto, inquadrare come collaboratrice fissa. La giornalista aveva dunque presentato ricorso in Cassazione sostenendo di essere invece l’unico punto di riferimento della redazione del quotidiano, in ambito provinciale, relativamente ai fatti di cronaca nera e giudiziaria e che il suo lavoro avesse dunque le caratteristiche richieste alla figura non di redattore ma di collaboratore fisso.
Dalle testimonianze raccolte non emergevano, tuttavia, elementi che provassero la subordinazione del rapporto di lavoro della giornalista in quanto i testimoni sentiti avevano riferito della presenza della collega presso la sede del giornale solo per il necessario coordinamento con il redattore o per un confronto sugli articoli da lei proposti o che le venivano assegnati. Pur avendo la giornalista la possibilità di usufruire di una postazione con scrivania, telefono, computer, nessuno dei testimoni aveva indicato circostanze di fatto significative per provare che la lavoratrice fosse sottoposta al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, sia pure nei termini elastici che, come si è detto, sono propri dell’attività giornalistica. Secondo la Corte d’Appello, dunque, non si erano potuti provare gli elementi di una collaborazione subordinata fissa che devono consistere in “una prestazione con cui si assicura per un’apprezzabile periodo di tempo la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli, o di rubriche, su specifici argomenti”.
L’art. 1362 del c.c. e l’interpretazione del contratto di lavoro
Ciò che la ricorrente contestava con il ricorso per Cassazione è che la Corte d’Appello avrebbe fatto riferimento, per valutare il suo caso, solo agli elementi che contraddistinguono la figura del redattore ordinario e non a quelli del collaboratore fisso, oltre al fatto che non sarebbero state valutate correttamente le testimonianze di due colleghi che avevano riferito delle continue trasferte della giornalista e che la stessa si occupava “quotidianamente” di cronaca giudiziaria e di cronaca nera insieme ad uno di loro.
La Cassazione Civile, sez. Lavoro, con la sentenza n. 26760 del 13.11.2017 ha chiarito un punto fondamentale della questione ossia che, ai sensi dell’art.1362 c.c., la natura giuridica di un rapporto lavorativo che è disciplinata da un contratto, deve fare riferimento alla volontà contrattuale espressa dalle parti, in questo caso all’art. 2 del CCNL che individua specificamente la figura di collaboratore fisso in colui “che mette a disposizione le proprie energie lavorative, per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche”, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica che si assicura così la “copertura” di una specifica area informativa. Rosy Abruzzo