Goliarda Sapienza.
“L’università di Rebibbia” è l’onesto racconto di chi il carcere l’ha vissuto.
E’ il diario dei tre mesi di detenzione che Goliarda Sapienza, autrice di un furto di gioielli a casa di un’amica, ci consegna senza ipocrisie. E’ un libro estremamente “umano”, le cui prime pagine rivelano una verità annunciata senza orpelli: dopo il primo corridoio, si scende sempre. L’autodegradazione che genera quella discesa è cosi potente da apparirmi come una sorta di piacere al quale abbandonarsi e farla finita con le angustie minute della vita, le varie etiche, l’orgoglio, la rispettabilità.
Si intuisce immediatamente il pregio del romanzo: l’autrice, pervasa dall’euforia della scoperta di un mondo altro, rifugge da toni cupi e ci conduce verso il reale. Quello che descrive è un reale possente; qui i dolori sono talmente al limite della resistenza, che basta un atteggiamento di eccessiva serenità per farti apparire fuori posto e sospettabile.
Goliarda, quindi, è curiosa più che insofferente. Si abitua presto alla sua condizione e inizia a vedere la prigione come un luogo ben definito: nelle spiagge di Rebibbia le ragazze riescono a prendere il sole. Le sue parole sono cariche di ironia, consapevolezza e ammirazione per le sue compagne. L’autrice, in effetti, ammira il fatto che le altre donne non intendono cambiarla: sanno bene che il ceto cui lei appartiene è più elevato del loro. Ed è proprio quell’essere insieme cittadine di tutti gli stati sociali, culture, nazionalità, a suggerirle un senso di libertà impensata.
Rebibbia, scuola di vita
Quel luogo ameno di cui tutti sentono parlare ma che nessuno conosce, G.Sapienza lo racconta attraverso i ritratti di Marrò, Suzie Wong, Annunciazione, Barbara e delle altre detenute. Sono donne che conoscono ancora l’arte dell’attenzione all’altro. Sono le stesse donne che insegnano a Goliarda che in carcere, forse, si regredisce; si approda al linguaggio semplice delle emozioni, cosicché le diversità vengono spazzate via come inutili mascherature dei moventi del profondo: questo fa di Rebibbia una grande università cosmopolita dove chiunque, se vuole, può imparare il linguaggio primo.
Il carcere, dunque, come scuola di vita. Un luogo in cui sai subito chi sarai, senza poterti crogiolare nel falso problema di cercare la tua identità. Una dimensione brutale in cui c’è spazio per la solidarietà e l’amicizia che spesso sono negate nel mondo dei “liberi”.
I liberi parlano della prigione come chi parla della luna senza esserci mai stato. Ma la verità è che non si tratta di un film. Tutti abbiamo visto al cinema le sale dei colloqui, ma esserci con il corpo è tutta un’altra cosa. Trovarsi improvvisamente davanti a qualcuno che viene da fuori e ha sentore di aria fresca nei panni addosso, non può che farti sentire ancora più dolorosamente il lezzo di rinchiuso che ti porti dietro. Molti visitatori hanno l’espressione indescrivibile di chi conversa con un malato condannato da una malattia senza speranza. Ho solo voglia di tornare giù dove tutte noi, accomunate dalla stessa condizione, almeno non dobbiamo subire la vergogna di mostrarla agli altri, scrive Goliarda. La sincera ammissione è seguita da parole che a qualcuno potranno apparire banali, ma che mi hanno atterrita per la loro forza: il fatto è che quando sei dentro le uniche cose in grado di consolare sono le concrete: conta se nel pacco c’è quello che ti serve o no.
Tra una sbarra e l’altra, tuttavia, c’è spazio per la luce. E’ una luce che non sa di “carcere è bello”, ma era inevitabile che la Sapienza si mettesse nelle condizioni di scorgerla. Il carcere, in fondo, non è fatto di persone “diverse”. L’autrice ci presenta donne dotate di grande fantasia ma che, non avendo direttive per realizzarsi nella vita, in qualche modo si realizzano in prigione. Forse è per questo che ci si affeziona al carcere: lì dentro sei protagonista; se hai talento ti viene riconosciuto. E’ vero che tutto umilia, ma ci si abitua. Quelle donne si travisano talmente che il carcere diventa la loro casa (per video intervista, cliccare qui)
E’ qui il grande insegnamento di Goliarda Sapienza
Qui si torna a vivere in una piccola collettività dove le tue azioni sono riconosciute. In poche parole, non sei sola come fuori. E’ per questo che Annunciazione tornerà: anche se occupa il posto più basso della collettività, qui ha sempre un ruolo accettato da tutti. Non c’è vita senza collettività: non c’è vita senza lo specchio degli altri.
Claudia Chiapparrone