Levata di scudi degli avvocati contro lo “scoop” del Fatto Quotidiano, ieri ha pubblicato il testo virgolettato di una telefonata intercettata tra l’avvocato Federico Bagattini e il suo cliente, Tiziano Renzi.
«Il fatto che sui giornali finiscano le conversazioni tra un avvocato e un suo assistito è uno scandalo che dimostra come, evidentemente, la privatezza di quelle conversazioni non sia sufficientemente tutelata», tuona dalle colonne de Il Dubbio Valerio Spigarelli, già presidente dell’Unione delle Camere penali e docente di procedura penale. Fatti come questi, prosegue il penalista, sono da addebitare anche ad un certo lassismo della giurisprudenza della Cassazione, «che non ha difeso questo principio, sostenendo che gli inquirenti possano prima ascoltare e poi decidere se la comunicazione è inascoltabile. Una giurisprudenza a cui l’avvocatura si è sempre opposta, chiedendo di rafforzare i divieti, anche perché l’ascolto preventivo spesso permette all’accusa di scoprire anche la strategia processuale difensiva». Negli anni, argomenta Spigarelli, si è abbassata la guardia consentendo la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni per il solo fatto che sono interessanti. «Attenzione, però, c’è un equivoco: l’affievolimento del principio costituzionale di intangibilità delle comunicazioni è giustificato solo dalle esigenze di giustizia. Il che significa che l’intrusione non può essere giustificata per tratteggiare il profilo etico- morale di una persona, che non ha nulla a che vedere col processo».
Parole di fuoco giungono anche da Lugi Pansini, segretario dell’Associazione nazionale Forense, secondo il quale «Le intercettazioni telefoniche riguardanti le comunicazioni tra l’avvocato e il cliente sono strumenti di indagine degne di regimi e Paesi che non hanno la cultura giuridica pari a quella italiana. Stupisce e indigna il fatto che l’articolo 24 della Costituzione, che recita che “Il diritto di difesa è inviolabile”, venga disatteso ripetutamente nell’assuefazione generale, con l’eccezione ovviamente dell’Avvocatura e di pochi commentatori, costretti in minoranza dallo strapotere della giustizia inquirente e da un malinteso senso della libertà di stampa». I recenti fatti di cronaca politica, continua Pansini «sono esempio eclatante non solo di come venga infranto il codice di procedura penale – che dice chiaramente che non è consentita l’intercettazione relativa a comunicazioni tra difensori e le persone da loro assistite – ma anche come si sia perso di vista il confine tra l’importanza di dare una notizia e rispettare l’etica professionale». Di recente, conclude il segretario di Anf, «anche magistrati autorevoli come il procuratore Gratteri hanno messo il dito nella piaga dell’uso eccessivamente disinvolto delle intercettazioni tramutate in veline, ma quello che preme alla categoria degli avvocati è denunciare ciò che avviene al di fuori dei casi noti che ottengono la ribalta mediatica: quando un cittadino affida la propria difesa ad un legale, con implicazioni anche molto gravi sul suo futuro, lo deve fare affidandosi totalmente, non correndo il rischio che la strategia processuale difensiva venga condivisa anche con chi sta indagando su di lui».