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Guerra aperta fra penalisti e Lirio Abbate, l’Ucpi interviene a difesa dell’avvocato Placanica

I toni adoperati dall’avvocato Cesare Placanica durante la sua arringa difensiva nell’ambito del processo d’appello Mafia Capitale non sono andati giù al giornalista Lirio Abbate, che, senza mandarle ha dire, ha scritto un post al vetriolo contro il legale. «Le infamità e le calunnie vomitate in un’aula di giustizia da un para-difensore presidente di categoria a Roma – scrive su Facebook il vice direttore dell’Espresso –  hanno eguali solo ad affiliati alla mafia. Para-difensore dico a te che leggi questo post: di te e dei tuoi amici criminali che ti pagano, non ho paura. Ho la coscienza pulita per affrontarti. Il fango che tu e i tuoi amici mafiosi volete spargere sulla mia correttezza professionale vi si ritorcerà sommergendovi».

L’avvocato Placanica, dal canto suo, non si tira indietro e sfida il giornalista sul terreno che gli è più congeniale, quello processuale. Intervistato da Il Dubbio il legale dispensa «un consiglio» al vicedirettore del’Espresso: piuttosto che  utilizzare  toni «da bulletto» «mi quereli, così accertiamo la veridicità dei fatti che ho esposto nell’arringa».

Alle sue battute finali,  dunque, il processo che ha portato alla sbarra Buzzi e Carminati travalica i confini di piazzale Clodio e dà vita ad uno scontro frontale fra il noto giornalista antimafia e l’Unione delle camere penali, prontamente intervenuta a difendere l’avvocato romano.

L’organizzazione dei penalisti ha bollato come «gravemente insultante» e «privo di qualsiasi giustificazione» il contenuto del post di Abbate. In ballo, si spiega nella nota approvata sabato c’è il rispetto che si deve alla stessa funzione difensiva, messa in discussione dal giornalista attraverso una «inaccettabile equiparazione» fra difesa dell’imputato e difesa del reato e «un’incauta sovrapposizione amicale fra avvocato difensore ed assistito».

Dal canto suo la Federazione Nazionale della Stampa, intervenuta a difesa di Abbate, stigmatizza  il tentativo «di ribaltare i ruoli e di portare sul banco degli imputati» i cronisti e chiede e all’Ordine nazionale forense di avviare un confronto «affinché il diritto costituzionale alla difesa non diventi, come alcuni avvocati tentano di fare, un’occasione per delegittimare il lavoro dei giornalisti, la cui attività riveste ugualmente un rilievo costituzionale». L’invito dell’FNSI  viene però rispedito  al mittente dall’Unione delle camere penali. La richiesta presupporrebbe  l’esistenza di indebiti attacchi che, secondo i penalisti, «non è dato riscontrare nel contesto del processo e tantomeno nell’intervento dell’Avvocato Placanica. Un intervento del tutto coerente con il mandato difensivo e con la necessità di contrastare le tesi e gli argomenti dell’accusa in un processo indubbiamente contrassegnato da un forte intreccio mediatico». L’Ucpi, prosegue la nota,  «ha sempre difeso il diritto di informazione nella convinzione che esso sia un indispensabile baluardo della democrazia, come lo sono tuttavia anche il diritto di critica ed il diritto di difesa. L’esercizio di nessuno di questi diritti può giustificare il gravissimo attacco alla dignità di un professionista ed alla libertà ed all’indipendenza della sua funzione». Il tenore del post del giornalista dell’espresso, porrebbe dunque  non solo «non solo un problema di continenza del linguaggio, ma un ben più grave problema di radicale incomprensione dei principi liberali del processo penale e dei fondamenti democratici della funzione del difensore in quel processo».

(Amer)

 

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