Con la pronuncia n. 13510 dello scorso 30 maggio, la Cassazione ha fissato alcuni importanti principi in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno dovuto ad una interdiceva antimafia illegittima.
Nel caso istruito dalla soc. Icla Costruzioni Generali S.p.a. (oggi in liquidazione) contro il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri per assunto “comportamento cuti anegligente delle amministrazioni dovuto al mancato aggiornamento degli archivi informativi, a fronte delle novità e dei chiarimenti presentati dall’attrice sull’informativa antimafia”, la Suprema Corte, pur sostenendo la fondatezza nel merito della pretesa risarcitoria, ha riconosciuto l’azione come prescritta.
Secondo la pronuncia: “In materia di appalti di opere pubbliche, il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da estromissione dal mercato dei pubblici appalti, che una società faccia valere contro il Ministero dell’Interno, nonché contro la Presidenza del Consiglio, assumendo che detta estromissione è stata causata dal rifiuto dell’aggiornamento delle banche dati, funzionali al rilascio di dette informative, qualora risulti che la società abbia disposto la propria messa in liquidazione volontaria, ancorché, in thesi, proprio in ragione della pretesa efficacia causale del detto rifiuto, si identifica, pur perdurando il relativo comportamento omissivo, nel momento di tale messa in liquidazione volontaria.”
Il danno subito dalla società per l’omesso aggiornamento dei dati da parte della P.A. preposta, sarebbe sorto in funzione della perdita di una serie di commesse già acquistate nel sistema degli appalti di opere pubbliche — e contestuale impossibilità di acquistarne di nuove — oltre che dalla perdita dei requisiti economico-organizzativi per operare in quel sistema.
Così decidendo, la Cassazione ha in parte ripreso la tesi sostenuta dalla Corte d’Appello capitolina che aveva ritenuto irrilevante il protrarsi nel tempo del comportamento omissivo dell’amministrazione specificando che sebbene “il diritto al risarcimento del danno da illecito permanente sorga in modo continuo e in modo continuo si presciva”, il perdurare del mancato aggiornamento delle informazioni che ha generato il danno, è da ritenersi irrilevante ai fini della decisione relativa all’eccezione di prescrizione. Secondo il Giudice di ultima istanza, il ragionamento va dunque ponderato sul dies a quo della prescrizione del diritto, da identificarsi con la data di messa in liquidazione della società.
Tra i motivi del ricorso, la ICLA aveva però che la decisione di mettere in liquidazione la società, era una una scelta arbitraria e, come tale, revocabile e reversibile ad nutum in qualsiasi momento.
Secondo questa impostazione difensiva, il dies a quo della prescrizione sarebbe altresì da individuarsi nel momento della definitiva perdita dei requisiti tecnici ed economici necessari per poter partecipare alle gare, poiché momento in cui l’estromissione della società danneggiata diviene irreversibile e definitiva.
La Suprema Corte rigetta questo motivo riprendendo la tesi del danno futuro, quindi percepibile. In questo senso, la scelta di mettere in liquidazione la società è tutt’altro che arbitraria, bensì legata al venir meno della possibilità di partecipare alle gare pubbliche.
Sebbene, al momento della messa in liquidazione sussistessero ancora i requisiti per poter partecipare, l’omesso aggiornamento degli archivi in funzione dell’informativa ex dPR 252 del 1998, rappresentava comunque una circostanza ostativa.
Tale impossibilità, dovuta alla negligenza dell’amministrazione ha così dato alla società, la possibilità di percepire danni (futuri) concretamente dimostrata dalla messa in liquidazione. Motivo, questo che porta a considerare la messa in liquidazione come determinante il decorso del termine di prescrizione ex art.2935 cod.civ.
Al contempo, il perdurare del comportamento omissivo della P.A. non ha rilevanza ai fini di giustificare l’esclusione dell’inizio del corso della prescrizione.
Questo anche perché — nelle parole della Corte — “l’art. 2935 cod. civ., quando dice che la prescrizione «comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere», in relazione alla possibilità di far valere il diritto al risarcimento del danno derivante da comportamenti omissivi permanenti, allorquando il processo causativo del danno derivante dal comportamento omissivo risulti in concreto avere avuto una manifestazione e degli effetti tali che risultino certi i danni futuri che ulteriormente si potranno verificare sempre per il perdurare del comportamento omissivo, deve essere interpretato nel senso quella
possibilità sussiste e giustifica l’inizio del decorso della prescrizione del diritto risarcitorio e ciò anche per quei danni.”
L’esclusione del corso della prescrizione, in tal caso, sarebbe del tutto
ingiustificata, sia perché il diritto risarcitorio è giuridicamente percepibile, sia perché ritenere il contrario comporterebbe la conseguenza di dover frazionare l’esercizio del diritto risarcitorio, con evidente manifesta contraddizione rispetto all’esigenza che l’istituto della prescrizione vuole soddisfare.
Francesco Donnici