Sono suscettibili di intercettazioni telefoniche le comunicazioni tra l’avvocato ed il suo cliente? la legge dà risposta negativa al quesito, in virtù delle sovra ordinate esigenze di difesa, ma la Corte di Cassazione, con una recente sentenza del gennaio 2018, stabilisce dei limiti al divieto di utilizzazione di tali intercettazioni, ovvero ne consente l’utilizzo quando esse stesse integrino un reato.
Intercettazioni delle conversazioni dell’avvocato: quando sono utilizzabili?
Un avvocato, sottoposto ad indagine per il reato di favoreggiamento ex art. 379 c.p. con l’accusa di aver aiutato, mediante consigli ed interventi di natura professionale, i propri due clienti, titolari di un credito usurario, ad assicurarsi il profitto del suddetto delitto di usura, veniva sottoposto alla misura cautelare della interdizione dall’esercizio della professione forense per la durata di due mesi.
Tale misura veniva applicata in virtù delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche intrattenute tra l’avvocato indagato per favoreggiamento ed i suoi clienti.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 4116 del 29 gennaio 2018, è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla utilizzabilità di tali intercettazioni telefoniche tra l’avvocato indagato e la sua cliente, posto che il ricorrente aveva invocato il divieto generale di utilizzazione delle comunicazioni e conversazioni pertinenti l’attività professionale ai sensi dell’art. 271, comma 2 c.p.p.
La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso dichiarandolo infondato ed affermando il principio per cui le comunicazioni telefoniche tra l’avvocato ed il cliente sono intercettabili ed utilizzabili se costituiscono esse stesse reato.
Secondo i giudici, infatti, una volta accertata la piena consapevolezza da parte dell’avvocato della natura usuraria del credito vantato dalla cliente, deve affermarsi la piena utilizzabilità delle conversazioni intercettate tra il difensore e la cliente in quanto le stesse sono di per se stesse costitutive del reato di favoreggiamento perché enunciative e comunicative di una serie di indicazioni ed accorgimenti legali volti ad assicurare alla cliente il profitto del reato di usura.
Richiamando precedenti giurisprudenziali, la Corte non ritiene applicabile il divieto di cui all’art. 103, comma 5 c.p.p. in quanto tale norma, nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, mira a garantire l’esercizio del diritto di difesa, e ha quindi ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni relative agli affari nei quali i legali esercitano la loro attività difensiva, e non si estende, quindi, alle conversazioni che integrino esse stesse reato, quali quelle intercettate nel caso di specie integranti di per sè il reato di favoreggiamento.
L’inutilizzabilità delle intercettazioni tra avvocato e cliente non può, secondo la Corte, neppure fondarsi sul divieto di cui all’art. 271, comma 2 c.p.p., quale era stato richiamato dal ricorrente, che afferma in via generale la inutilizzabilità delle conversazioni intercettate delle persone indicate nell’art. 200 e cioè anche degli Avvocati. Secondo la Corte, l’art. 271 c.p.p. non andrebbe ad introdurre nuove, distinte ed autonome ipotesi di inutilizzabilità ma si limita e ribadire, per quanto attiene agli Avvocati, un divieto di utilizzazione che già è previsto dall’art. 103, comma 5, con le eccezioni e le deroghe di cui si è detto più sopra.
In virtù di ciò, dunque, i giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso proposto dall’avvocato/indagato ribadendo la piena utilizzabilità delle intercettazioni delle comunicazioni telefoniche idonee a fondare le esigenze cautelari.
Martina Scarabotta