La Legge 104 impone il divieto di trasferimento del dipendente anche quando la disabilità del familiare che egli assiste non si configura come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, non suscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Il trasferimento del dipendente nell’art. 2103 c.c.
L’art. 1182 c.c. prevede che la prestazione contrattuale debba essere adempiuta nel luogo dedotto in contratto. Per quanto concerne il rapporto di lavoro, di regola, la prestazione viene eseguita nel luogo in cui si trova la sede del datore di lavoro, comunicata al lavoratore al momento dell’assunzione.
Orbene, l’art. 2103 c.c., peraltro recentemente novellato dal decreto legislativo n. 81/2015 (nell’ambito della riforma denominata “Jobs Act”), prevede che il lavoratore non possa essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Dalla norma si evince che il trasferimento del lavoratore è ancorato ad una giustificazione oggettiva riferibile all’assetto e all’organizzazione aziendale, per cui il Giudice dovrà limitarsi a prendere atto dell’effettiva esistenza delle ragioni economiche su cui si basa il trasferimento, senza poter entrare nel merito della questione.
Il trasferimento del dipendente: le limitazioni
In un’ottica di protezione della parte contrattuale più debole, il nostro Legislatore ha previsto delle ipotesi in cui il potere di trasferire il dipendente viene limitato e cede il passo a degli interessi maggiormente meritevoli di tutela.
In primo luogo, sono sempre vietati i trasferimenti effettuati a scopo discriminatorio, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori, mentre per il trasferimento dei dipendenti dirigenti delle RSU o RSA occorre l’autorizzazione delle organizzazioni sindacali di riferimento.
I lavoratori che usufruiscono del periodo di congedo parentale non possono essere trasferiti ed hanno diritto alla conservazione del posto nella medesima unità produttiva sino al compimento di un anno di età del bambino.
Inoltre, l’art. 33 della Legge 104/1992 proibisce il trasferimento del lavoratore portatore di handicap o di colui che assiste un parente o affine disabile, senza il previo consenso del dipendente.
Legge 104 e divieto di trasferimento del dipendente: il caso
La corte di Cassazione sezione Lavoro, si è pronunciata recentemente sulla legittimità del trasferimento di un lavoratore titolare di permessi ex lege 104.
Specificamente, la lavoratrice in questione, assisteva la madre disabile il cui handicap grave, tuttavia, era ancora in fase di riconoscimento all’Inps. In pendenza della fase amministrativa di riconoscimento la lavoratrice godeva, in via temporanea, dei permessi retribuiti, disposti dall’Istituto di Previdenza.
Nello stesso anno, il datore di lavoro emetteva provvedimento di trasferimento nei confronti della lavoratrice, la quale, dopo aver rifiutato la dislocazione, veniva licenziata. Quest’ultima ricorreva all’Autorità Giudiziaria, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento e del presupposto trasferimento, nonché la reintegra nel posto di lavoro.
I giudici di merito rigettavano le domande attenendosi ad un interpretazione letterale dell’art. 33 della L. 104/92.
Allorché, interpellata la Cassazione, con sentenza del 12 dicembre 2016 n. 25379, ha accolto le ragioni della dipendente, e riportandosi ad una precedente pronuncia, Cass. n. 9201/2012, ha ribadito il principio per il quale l’art. 33 comma 5 della Legge 104/1992 deve essere interpretato in senso costituzionalmente orientato, alla luce dell’art. 3 comma 2 Costituzione, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili.
A ben vedere, secondo tale orientamento, il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare che egli assiste non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte (Cass. n. 9201/2012).
Pertanto, anche in pendenza della fase amministrativa di riconoscimento della disabilità grave, i Giudici di merito avrebbero dovuto procedere ad una valutazione della serietà e rilevanza dell’handicap sofferto, e operare un contemperamento tra le necessità della dipendente (sulla base della documentazione disponibile) e le esigenze produttive sottese al trasferimento. Contemperamento che è stato omesso, e che, quindi, ha determinato l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio a nuova composizione della Corte d’Appello di Roma, che sarà chiamata a riesaminare la legittimità del trasferimento.