Licenziamento disciplinare e contratti collettivi: la problematica
Quali sono i poteri del giudice nel verificare la legittimità di un licenziamento, intimato per violazione delle disposizioni contenute nel contratto collettivo nazionale del lavoro di una determinata categoria?
Sul punto è intervenuta la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, sezione lavoro del 21 marzo 2017 n. 7166, specificando quale rilievo occorra attribuire – in ambito disciplinare – all’apprezzamento concreto da parte del giudice riguardo “la gravità del comportamento del lavoratore in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del suo operato”.
Il caso riguarda il dipendente di una società per azioni licenziato per ragioni disciplinari, che si era rifiutato per due volte consecutive in una stessa notte di intervenire per un calo di pressione con una fuga di gas, nonostante fosse il tecnico reperibile ed incaricato di gestire l’emergenza.
Impugnato il licenziamento, la sanzione veniva confermata in primo grado, ma la Corte d’appello riteneva non giustificato il licenziamento, ordinando la reintegra del lavoratore: secondo la Corte d’appello, infatti, il licenziamento era da considerarsi compreso fra quegli addebiti disciplinari che l’art. 55 CCNL settore Energia e Petrolio punisce – esclusi i casi di recidiva – con una sanzione conservativa, e non con una sanzione espulsiva (quale infatti è il licenziamento).
Licenziamento disciplinare e contratti collettivi: il ruolo del giudice e l’interpretazione della contrattazione collettiva
Contro la sentenza n. 225/2014 della Corte d’appello di Potenza l’azienda datrice di lavoro ricorreva in Cassazione con cinque motivi di ricorso, dei quali il quarto ha trovato accoglimento.
Con la sentenza n. 7166/2017, infatti, la Corte ha accolto le istanze dell’azienda, rimettendo gli atti al giudice del rinvio per compiere una valutazione di merito differente, alla luce del dettato di cui all’ art. 55 CCNL settore Energia e Petrolio.
La Corte ritiene così fondato il motivo di ricorso con il quale la società datrice di lavoro contestava l’interpretazione effettuata in appello di tale disposizione.
Secondo la ricostruzione dell’azienda, infatti, costituiva violazione e falsa applicazione di legge ritenere che la condotta ascritta al dipendente non integrasse grave infrazione alla diligenza nel lavoro e grave nocumento morale.
La questione verte dunque sulla qualificazione della condotta ascrivibile al lavoratore: se la sua mancanza costituisce un’ipotesi di contegno che arrechi “soltanto” un pregiudizio alla sicurezza delle persone e degli impianti, allora il licenziamento non sarebbe giustificato, in quanto le sanzioni previste in tale ipotesi dalla contrattazione collettiva sono di natura meramente conservativa.
Qualora invece, come il datore di lavoro ritiene applicabile a questo caso, le condotte del lavoratore integrino la diversa ipotesi di grave infrazione alla diligenza nel lavoro e grave nocumento morale, allora la sanzione dovrebbe essere di natura espulsiva, ed il lavoratore sarebbe passibile di licenziamento.
Per i giudici di legittimità, in sede di appello, si è ricondotta l’infrazione disciplinare alle ipotesi previste dall’art. 55 cit. CCNL, parte III lett. g), che punisce con sanzione più grave di quella massima conservativa (quindi con il licenziamento) la recidiva in “atti che portino pregiudizio alla produzione, alla disciplina, alla morale, all’igiene ed alla sicurezza delle persone e degli impianti”.
In tale qualificazione, però, non soltanto non si è considerato che nel caso in esame non c’era stata alcuna recidiva, ma non si è altresì tenuto conto del disposto di cui al comma 1 parte IV dello stesso art. 55 cit., laddove è previsto il licenziamento senza preavviso, fra gli altri casi, anche per “gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro”.
In secondo grado inoltre non si è esaminata “quella parte della stessa clausola contrattuale che prevede, in alternativa alla recidiva, anche il caso di particolare gravità (v. comma 1 parte III dell’art. 55 cit.) come passibile di sanzione espulsiva”.
Costituisce infatti dovere del giudice “controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari al disposto dell’art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, ex art. 2106 c.c., solo ad eventuali sanzioni conservative”. Un volta effettuato tale controllo, sarà lo stesso giudice a dover procedere ad un apprezzamento concreto della gravità degli addebiti.
Dovrà adesso essere la Corte d’appello di Salerno, pertanto, a valutare se la condotta ascritta al lavoratore “sia suscettibile di essere in astratto sussunta nella previsione contrattuale di cui al comma 1 parte III dell’art. 55 e/o di cui al comma 1 parte IV dello stesso art. 55 cit. CCNL” dovendo poi, in caso di esito affermativo, “apprezzare in concreto la gravità del comportamento del lavoratore in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del suo operato e alla futura affidabilità del dipendente nell’eseguire la prestazione dedotta in contratto”.
Chiara Pezza