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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo di lavoratori in posizioni fungibili: i criteri da seguire

Con la sentenza n. 25192 del 7 dicembre 2016, la Corte di Cassazione ha statuito che, in caso di soppressione di un posto di lavoro, la scelta del dipendente da licenziare può ricadere sul lavoratore che, a parità di mansioni, comporta maggiori costi per l’azienda, risulti meno performante e sia titolare anche di altri redditi.

Il caso

Ma analizziamo il contesto della sentenza citata: nel caso di specie, il licenziamento era stato intimato in conseguenza di una riorganizzazione dell’azienda finalizzata alla riduzione dei costi per fronteggiare il calo di fatturato.

In particolare, la riorganizzazione aveva coinvolto un reparto nel quale operavano tre dipendenti, che svolgevano analoghe mansioni.

L’azienda aveva, quindi, licenziato il dipendente che comportava maggiori costi, che, peraltro, percepiva altri redditi, e che, infine, era risultato il meno “performante”, non avendo percepito il premio erogato ai dipendenti che avevano dimostrato maggiore impegno e professionalità. 

La determinazione di procedere secondo tali criteri era stata condivisa dalla Corte di merito, che aveva riformato la sentenza di primo grado e che, pertanto, aveva ritenuto legittimo il licenziamento.

Il lavoratore impugnava la decisione innanzi alla Suprema Corte, evidenziando che la circostanza di essere meno “performante” implicasse un giudizio non ancorato a parametri oggettivi, mentre la circostanza che il reddito da lavoro non fosse l’unico reddito era del tutto estranea al rapporto di lavoro, e come tale irrilevante ai fini della decisione.

La sentenza n. 25192/2016

La Suprema Corte ha, quindi, esaminato le censure sollevate, consistenti nello stabilire se, ai fini del rispetto dei principi di buona fede e di correttezza ex artt. 1375 e 1175 cod. civ., i criteri per selezionare il lavoratore da licenziare possano essere individuati dal datore di lavoro ovvero se tali criteri debbano essere connotati da un’oggettività determinabile ex ante, esclusivamente mediante il ricorso ai criteri di cui all’art. 5 della Legge n. 223/1991.

All’esito della disamina delle censure, la Suprema Corte ha affermato che il giustificato motivo oggettivo si identifica nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, non essendo utilizzabile il criterio della impossibilità di repechage, il datore di lavoro deve improntare l’individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, ai sensi dell’art. 1175 c.c..

A tal fine, l’art. 5 L. n. 223/1991 offre criteri idonei ad assicurare che la scelta sia conforme a tale canone, il quale, tuttavia, non esclude l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati sempre a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

La Suprema Corte ha, quindi, affermato che i criteri utilizzati dall’azienda, ossia il maggior costo della retribuzione, il minore rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore, apparivano ragionevoli in quanto oggettivamente enucleabili tra i fatti riferibili alla comune esperienza con riguardo alle qualità e alle condizioni personali del lavoratore.

Tali criteri, inoltre, si prestavano, ciascuno di essi ed anche in concorso tra loro, alla “elaborazione di una graduatoria e, dunque, consentivano, su basi oggettive, una comparazione tra tutti i lavoratori interessati dalla riduzione dell’organico in quanto assegnati a posizioni di lavoro fungibili“.

Nella fattispecie in esame, inoltre, la Suprema Corte ha evidenziato che il lavoratore non aveva neppure prospettato che tali criteri fossero stati applicati erroneamente ovvero che, applicando tali criteri agli altri lavoratori addetti al medesimo reparto, egli non sarebbe stato il destinatario del provvedimento di recesso.

Fabiola Fregola

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