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L’interpretazione di un atto negoziale è censurabile in sede di legittimità?

L’interpretazione di un atto negoziale è censurabile in sede di legittimità?

Quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni  non è consentito, alla parte, che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra, trattandosi di tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito. ( Corte di cassazione, sentenza del 14 novembre 2016, n. 23128)

L’interpretazione contrattuale: nozione

L’insieme delle attività dirette ad accertare il significato giuridicamente rilevante delle espressioni usate nel testo contrattuale viene comunemente indicata con il nome di interpretazione.

L’interpretazione non è diretta ad accertare l’intenzione sic et simpliciter che ciascuna delle parti aveva al momento della conclusione del contratto, ma, bensì, la loro comune volontà come obiettivizzata nel documento contrattuale.

Le intenzioni di ciascuna delle parti, infatti, non solo possono non essere conosciute dalle altre,  ma, anche se conosciute, possono non essere condivise o tenute in considerazione, con la conseguenza che l’accordo concluso si basa su una volontà “comune” diversa da quella – eventualmente divergente – individuale.

E’ dunque questo lo scopo principale dell’interpretazione: “indagare quale sia stata la comune intenzione  delle parti” (art. 1362 c. 1 c.c.), andando eventualmente al di là del mero significato letterale delle parole e delle frasi usate per la composizione del documento contrattuale.

Tuttavia, non si può  ridurre l’attività interpretativa alla sola ricerca della “comune intenzione” delle parti, come obiettivizzatasi nel documento contrattuale.

Le norme codicistiche in materia, infatti, prevedono alcune disposizioni (nella fattispecie, quelle di cui agli artt. 1368-1370 c.c.) dirette ad accertare il reale contenuto negoziale.

In caso di mancanza di una specifica intenzione delle parti le norme codicistiche   prevedono alcune disposizione (segnatamente gli artt. 1368-1370 c.c.)  – costituenti la c.d. interpretazione oggettiva –   che vengono in rilievo solo qualora le regole di interpretazione soggettiva non siano sufficienti a chiarire la reale intenzione delle parti.

In tal caso il significato del contratto si uniforma a canoni legali improntati alla conservazione dell’atto, alla tipicità e all’equità.

L’interpretazione contrattuale: valore giuridico delle disposizioni

Le regole legali di interpretazione sono vere e proprie norme giuridiche la cui applicazione è demandata, in primo luogo, direttamente alle parti contrattuali e, in seconda battuta, alla magistratura qualora vengano in rilievo all’interno di una controversia giurisdizionale.

La loro violazione da parte del giudice di merito comporta la censurabilità della relativa pronuncia in sede di giudizio di legittimità.

Occorre però sottolineare come ciò che la Corte di Cassazione può censurare non è tanto l’interpretazione concretamente operata dal giudice di merito – e ciò in quanto si tratta di un giudizio di fatto proprio della fase di merito e, come tale, non censurabile in sede di legittimità – ma, bensì, la violazione delle disposizioni codicistiche in materia di interpretazione.

L’interpretazione di un atto negoziale (anche di natura collettiva) è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg., di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

Ne consegue che far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e dei principi in essi contenuti, ma occorre, altresì, precisare, in qual modo e con quali considerazioni, il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.

L’interpretazione di un atto negoziale è accertamento riservato al giudice del merito

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Nel caso esaminato dalla Corte, avente ad oggetto l’interpretazione di una clausola  del Regolamento condominiale, il ricorrente al di là di affermazioni sostanzialmente generiche, non ha precisato quali emergenze fattuali la Corte avrebbe trascurato di considerare, limitandosi ad evidenziare aspetti della disciplina pattizia che la sentenza impugnata, nel proprio iter argomentativo, ha puntualmente esaminato.

Né, infine, il ricorrente ha indicato eventuali profili di contraddittorietà o illogicità della motivazione resa dal Giudice del gravame.

La clausola  del contratto di compravendita- rileva la Corte- dà la possibilità di intendere, per logica interna e per un significato complessivo della stessa clausola, nonché per il richiamo effettuato al Regolamento di condominio in fase di predisposizione a cura e spese della società e alle materie che lo stesso avrebbe disciplinato, che la procura speciale ricomprendesse il mandato alla società venditrice di predisporre il Regolamento condominiale, anche per conto del ricorrente.

Il senso attribuito dalla Corte territoriale alla clausola in esame, pertanto, rientra in una possibilità interpretativa.

Per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni.

Così che, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte, che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra.

In sostanza la censura svolta dal ricorrente si risolve nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle proprie aspettative e asseritamente più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata, il che, come detto, è tuttavia inammissibile in sede di legittimità.

L’interpretazione della clausola resa dalla Corte territoriale non viene, dunque, scalfita dalle censure sollevate, restando in particolare definitivamente acquisito il decisivo punto conclusivo dell’iter argomentativo svolto.

Per cui “…. dall’esame dell’atto di acquisto dell’unità immobiliare si evince che l’appellante ha conferito specifica procura speciale alla società costruttrice per predisporre il Regolamento condominiale in nome e per conto dell’acquirente, oltre che nel proprio interesse…”.

Sabrina Nista

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