Il ricorso al criterio equitativo è consentito non già per sopperire alle carenze probatorie imputabili al danneggiato, ma soltanto per colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del pregiudizio.
Questo quanto stabilito dalla recente sentenza della Cassazione, Terza Sezione Civile, n. 22638 dell’8 novembre 2016.
Valutazione equitativa: in cosa consiste?
Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa. Questo quanto stabilito dall’art. 1226 del Codice Civile. Ma cos’è e come opera in concreto la valutazione equitativa?
Innanzitutto è bene precisare che il potere del giudice di liquidare in via equitativa non va confuso con il potere di decidere secondo equità ex art. 114 c.p.c.. Quest’ultimo, infatti, a seguito di concorde richiesta delle parti, consente al giudice di decidere la lite prescindendo dallo stretto diritto, qualora essa verta su diritti disponibili.
La valutazione in via equitativa prevista dall’art. 1226 c.c., invece, opera anche senza una congiunta richiesta delle parti e permette di supplire alla incompletezza del danno risarcibile. Affinché questo potere discrezionale del giudice possa dirsi legittimamnente esercitato, è necessario che il giudice dia espressamente conto dell’ iter logico-argomentativo seguito, che, proprio in quanto supportato dall’equità, deve essere dotato di un proprio impianto argomentale.
La valutazione equitativa è quindi «un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza» così la Cassazione, Seconda Sezione Civile, n. 17752 dell’8 settembre 2015.
Valutazione equitativa e onere probatorio: un caso pratico
La giurisprudenza è concorde nel sostenere che il giudice possa esercitare il potere di valutazione equitativa, conferitogli dall’art. 1226 c.c., quando, essendo stata provata dalla parte l’esistenza di danni risarcibili (an)
- sia impossibile stimarne con precisione l’entità o
- sia particolarmente difficoltosa la precisa determinazione dell’ammontare, in relazione alla peculiarità del caso concreto.
Come prima precisato, la valutazione equitativa è un giudizio di diritto, pertanto è necessario che vengano rispettati i principi in materia di onere probatorio: l’equità non interviene dunque nel momento dell’ an – infatti è la parte che deve dar prova della ontologica sussistenza del danno- ma solo nel momento del quantum e «non già per sopperire alle carenze probatorie imputabili al danneggiato», ma soltanto «al fine di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del pregiudizio, allorché sia obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare, nel suo preciso ammontare, il danno di cui è certa la sussistenza, sicché la parte non può esimersi dal provare elementi utili alla quantificazione di cui possa ragionevolmente disporre», come ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 22638/2016.
Nel caso in questione, la Cassazione ha accolto parzialmente il motivo di ricorso della ricorrente basato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 1126 c.c.. La materia è quella della violazione dell’obbligo di buona fede contrattuale in un contratto tra ex coniugi. La ricorrente lamenta una illegittima applicazione dei principi in materia di valutazione equitativa in quanto, la parte richiedente il risarcimento sulla base dell’ art 1375 c.c., ha provato documentalmente un danno di ammontare pari ad Euro 6.892,26, mentre la Corte territoriale ha provveduto a liquidarne un totale di 10.000 in via equitativa, tenuto conto della «complessità degli accordi intervenuti tra i due ex coniugi» e «della durata per la quale si è protratta la situazione di squilibrio delle reciproche prestazioni».
La Cassazione, cassa la sentenza impugnata, proprio perchè l’art. 1126 c.c. è stato applicato dal giudice in mancanza dei presupposti previsti dalla norma. La Corte territoriale, avrebbe dovuto correttamente liquidare in Euro 6.982,26 il complessivo danno subito, senza ampliarne l’ammontare attraverso un’indebita liquidazione equitativa. Con la sentenza in esame si conferma quindi l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la facoltà di liquidare il danno in via equitativa presuppone che dimostrata l’esistenza di un danno risarcibile. Grava pertanto sulla parte interessata dimostrare, secondo la regola generale posta dall’art. 2697 c.c., ogni elemento di fatto al fine di consentire che l’apprezzamento equitativo esplichi la sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune insuperabili nella determinazione dell’ammontare del danno.
Maria Rosaria Pensabene