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“Mamma, da grande voglio fare…”: gli avvocati che cambiano lavoro

“Mamma, da grande voglio fare…”: gli avvocati che cambiano lavoro

In Italia, quella dell’avvocato è da sempre stata concepita come una delle professioni più nobili e per questo più ambite. La professione di avvocato è una tra quelle più antiche e storicamente radicate nel territorio.

Fin dall’Antica Roma, emergeva la necessità di una figura professionale che potesse comprendere un sistema di norme complesso e sempre soggetto a interpretazioni. La professione di avvocato è quindi una di quelle categorie che meglio comprende e recepisce i cambiamenti del tessuto sociale e delle relazioni interpersonali.

Ciò detto, per effetto della crisi, è sempre più difficile fronteggiare il cambiamento del contesto sociale ed economico e sono numerosi gli avvocati che decidono di richiedere la cancellazione del proprio nome dall’Ordine. Nemmeno i professionisti che si credevano essere “immuni” dalla crisi oggi se la passano bene.

Senso di inadeguatezza, desiderio di mollare e ridotta realizzazione personale sono alcuni sintomi che possono essere ricondotti alla sindrome del burn-out, tipica delle cosiddette helping profession, che, in virtù della loro stessa natura, hanno una finalità di aiuto e sociale ma che sono caricate da una duplice fonte di stress: quello personale e quello della persona rappresentata.

“Mamma, da grande voglio fare…”: il bisogno di reinventarsi

avvocato

C’è tuttavia chi da questa situazione di crisi, personale e sociale, riesce a cogliere ciò che c’è di positivo. Nasce da queste considerazioni la voglia di reinventarsi, mettersi alla prova e testare nuove possibilità: sono ormai tanti i casi di chi sceglie di cambiare mestiere.

La voglia di ricominciare da sé, riprendersi in mano la propria vita e decidere cosa fare del proprio futuro prende il sopravvento. È così che tanti giovani avvocati cambiano mansioni: c’è chi resta in Italia perché non riesce a fare a meno di vivere nel proprio paese, ma c’è anche chi decide di tentare la futura all’estero.

Ristoratori, negozianti, cassieri, pizzaioli, commessi, dipendenti di multinazionali ma anche liberi professionisti. Il ventaglio di casistiche e possibilità è davvero ampio. E poi ci sono i casi più unici che rari che vedono donne dismettere i panni di avvocato per diventare suore di clausura.

Qualche mente ingegnosa, invece, ha pensato bene di utilizzare le proprie competenze da professionista e creare una sorta di evoluzione della professione di avvocato. Professionali, competenti ed efficienti, è possibile trovarli “on the road”, pronti a fornire assistenza e consulenza immediata su questioni legali, senza bisogno di fissare un appuntamento con una segretaria.

Sono gli avvocati di “A.L.” (Assistenza legale), studi legali in strada e con tanto di vetrine come i negozi, nati nel 2008 da un’idea degli avvocati Cristiano Cominotto e Francesca Passerini. Un modo bizzarro di reinventarsi che potrebbe però rivelarsi una carta vincente per la propria realizzazione personale e in vista di un futuro più prospero.

Eloisa Zerilli

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