L’imputata era stata dichiarata colpevole del reato di stalking, ai sensi dell’art. 612 bis, secondo comma, per avere in svariate occasioni molestato e minacciato l’ex con cui molti anni prima aveva intrattenuto una relazione sentimentale.
Dopo aver tartassato l’ex marito di telefonate fino a indurlo a cambiare numero di telefono, accecata dalla rabbia la donna aveva intasato la casella di posta con una serie infinita di mail, prima indirettamente e poi tramite un conoscente comune: tutto ciò provocava nell’uomo e nella moglie un “perdurante stato di ansia e di paura”, anche in considerazione del fatto che, in anni risalenti, l’imputata aveva provocato alla donna lesioni gravissime, per le quali aveva era già stata condannata.
Irrilevante per la ricorrente sostenere che i ripetuti contatti erano volti a recuperare un credito che la stessa vantava nei confronti dell’uomo in ragione dell’apertura di un sito internet. Prive di fondamento, inoltre, le contestazioni avanzate dalla stessa, la quale sottolineava che il giudice di seconde cure aveva trascurato che all’epoca dei fatti era affetta da morbo di Alzheimer, si trovava in totale stato di incapacità di intendere e di volere e non le erano state concesse le attenuanti generiche, omettendo di tenere in debito conto la sua età avanzata e il suo precario stato fisico e mentale.
Messaggi continui, le ragioni della pronuncia
La Corte conferma la linea seguita dai giudici di merito, spiegando che le reiterate condotte tenute dalla donna risultano del tutto analoghe a quelle per cui precedentemente era stata condannata. Il riconoscimento della recidiva da parte del giudice di secondo grado non si pone in contraddizione con la mancata applicazione di qualche misura di sicurezza, visti i diversi presupposti su cui i due istituti giuridici si basano: nel caso della recidiva, infatti, è necessario verificare se il nuovo reato commesso dimostri, unitamente alle condotte precedenti, una rinnovata pericolosità dell’agente, senza necessità di un ulteriore giudizio prognostico.
Inoltre, l’incapacità di intendere e di volere della ricorrente non era del tutto esclusa, bensì solo scemata: la stessa era infatti pienamente consapevole di recare molestia e disturbo all’uomo e alla moglie e agiva proprio in vista di tale risultato.
La serie continua di telefonate, messaggi, mail, risultava perfettamente idonea a determinare nei due coniugi un perdurante e grave stato di ansia, oltre che un fondato timore per la propria incolumità personale, costringendo gli stessi a cambiare le proprie abitudini di vita.
Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.
Teresa Cosentino