Bruxelles, 6 set. – La Corte di Giustizia dell’Ue ha respinto i ricorsi dell’Ungheria e della Slovacchia contro il meccanismo di ricollocamento (relocation) obbligatorio di richiedenti asilo da Italia e Grecia in altri Paesi dell’Unione.
Il piano di ricollocamenti, mai attuato dall’Ungheria, nasce in risposta alla crisi migratoria che ha colpito l’Europa nell’estate 2015: il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, a maggioranza, una decisione per aiutare l’Italia e la Grecia ad affrontare il flusso massiccio di migranti. Si prevede la ricollocazione, a partire da questi ultimi due Stati membri e su un periodo di due anni, di 120mila persone in evidente bisogno di protezione internazionale verso gli altri Stati membri dell’Unione.La decisione impugnata è stata adottata in base all’articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue, secondo il quale “qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo”. La Slovacchia e l’Ungheria, che, come la Repubblica Ceca e la Romania, hanno votato in Consiglio contro la decisione, hanno chiesto alla Corte di giustizia di annullarla sostenendo da una parte argomenti tesi a dimostrare che la sua adozione è viziata da errori di ordine procedurale o legati alla scelta di una base giuridica inappropriata e, dall’altra, che il provvedimento non è idoneo né necessario a rispondere alla crisi migratoria.Nel corso del procedimento, la Polonia è intervenuta a sostegno della Slovacchia e dell’Ungheria, mentre il Belgio, la Germania, la Grecia, la Francia, l’Italia, il Lussemburgo, la Svezia e la Commissione Europea sono intervenuti a sostegno del Consiglio. Con la sentenza di oggi, la Corte respinge “integralmente” i ricorsi di Budapest e di Bratislava. Anzitutto, i giudici confutano l’argomento secondo il quale si sarebbe dovuto applicare la procedura legislativa.La Corte rileva che la procedura legislativa può essere applicata soltanto se una disposizione dei Trattati vi fa espresso riferimento. Ma l’articolo non contiene alcun espresso riferimento alla procedura legislativa, sicché la decisione impugnata ha potuto essere stata adottata nel quadro di una procedura non legislativa e costituisce, pertanto, un atto non legislativo. La Corte dichiara anche che l’articolo del Tfue in questione consente alle istituzioni dell’Unione di adottare tutte le misure temporanee necessarie a rispondere in modo “effettivo e rapido” ad una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di migranti. Le misure possono derogare anche ad atti legislativi, a condizione che siano “circoscritte” sotto il profilo del loro ambito di applicazione “sia sostanziale che temporale”, e che non abbiano per oggetto o per effetto di sostituire o di modificare in modo permanente tali atti. Tutte condizioni che sono state rispettate nel caso del piano di ricollocamenti.La Corte chiarisce inoltre che, poiché la decisione impugnata costituisce un atto non legislativo, la sua adozione non era assoggettata ai requisiti riguardanti la partecipazione dei Parlamenti nazionali e il carattere pubblico delle deliberazioni e dei voti nel Consiglio (requisiti questi che si applicano solo agli atti legislativi). I giudici rilevano poi che l’ambito di applicazione temporale della decisione impugnata (dal 25 settembre 2015 al 26 settembre 2017) è “circoscritto” in maniera precisa, ragion per cui il suo carattere temporaneo non può essere rimesso in discussione. Inoltre, la Corte dichiara che le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015, secondo le quali gli Stati membri devono decidere “per consenso” in ordine alla distribuzione di persone in evidente bisogno di protezione internazionale “tenendo conto della situazione specifica di ogni Stato membro”, non potevano impedire l’adozione della decisione impugnata. Infatti, le conclusioni facevano riferimento ad un altro progetto di ricollocazione in risposta all’afflusso di migranti rilevato nei primi sei mesi del 2015, che prevedeva di ripartire 40mila persone tra gli Stati membri. Progetto che è stato oggetto di un’altra decisione, e non della decisione impugnata in questo caso. La Corte aggiunge che il Consiglio europeo non può in alcun caso modificare le regole di voto previste dai Trattati.Nel corso del procedimento, la Polonia è intervenuta a sostegno della Slovacchia e dell’Ungheria, mentre il Belgio, la Germania, la Grecia, la Francia, l’Italia, il Lussemburgo, la Svezia e la Commissione Europea sono intervenuti a sostegno del Consiglio. Con la sentenza di oggi, la Corte respinge “integralmente” i ricorsi di Budapest e di Bratislava. Anzitutto, i giudici confutano l’argomento secondo il quale si sarebbe dovuto applicare la procedura legislativa.La Corte rileva che la procedura legislativa può essere applicata soltanto se una disposizione dei Trattati vi fa espresso riferimento.
(adnKronos)